Una donna che urla Libertà – La Locandiera, con Sonia Bergamasco

Diversi nostri lettori potrebbero affermare, con una buona dose di sicurezza, come andare a teatro la sera del 25 novembre possa donare uno spettacolo dall’esito alquanto prevedibile, anche per chi non dovesse conoscere La locandiera di Carlo Goldoni (1707-1793).
L’immaginario comune li porterebbe in una cupa locanda d’altri tempi, rischiarata qua e là da qualche candela dallo stoppino mezzo consumato. Chiudendo gli occhi, riuscirebbero a vedere abiti dalle ampie gonne e dai colori terrosi, indossati da attori e attrici intenti ad ammaliarsi a vicenda, generando una valanga di fraintendimenti.

Saprebbero già quale sarebbe il nocciolo dell’opera – alquanto prevedibile, se assisti a uno spettacolo per la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne:
Mirandolina, la nostra protagonista, soffriva perché vieniva schiacciata da un mondo maschilista e patriarcale, ma è riuscita a liberarsene e a vivere felice e contenta. Fine.
Questa forma di chiaroveggenza si è quindi dimostrata accurata? Sì. Cioè no… Più o meno, diciamo. Per lo meno, questo era ciò che mi aspettavo, e questo è stato ciò che ho trovato, anche se in una veste che non mi sarei mai aspettato.

Comincerei proprio parlando delle vesti degli attori, le quali non includevano né ampie gonne né erano, in linea generale, di colore terroso. A ben pensarci, era come se l’intera compagnia recitasse in borghese, arrivata sul palco del teatro dei Rinnovati una manciata di minuti prima dell’apertura del sipario.
Non smetterò mai di affermare quanto sia affascinante partecipare agli incontri aperti al pubblico, i quali permettono di scoprire (anche anticipatamente, come nel mio caso) i dietro le quinte di alcune decisioni di regia. L’intento di Antonio Latella è stato proprio quello di rendere lo spettacolo più che attuale, oserei dire quotidiano: non stiamo assistendo a un evento accaduto quasi trecento anni fa e congelato nel tempo, ma a qualcosa che potrebbe accadere anche oggi, anche al bar all’angolo della nostra strada, quello che frequentiamo abitualmente.

La scelta di non usare dei veri e propri costumi si scontra con la decisione di mantenere un linguaggio tipico della toscana del XVIII secolo; vi assicuro che il contrasto abiti moderni-battute vetuste genera una combinazione particolare dal sapore piacevole, come accompagnare i formaggi con il miele.

Superato l’iniziale momento di confusione causato da questa curiosa scelta, la mente di un teatrofilo novizio – quale io sono – continuerà a sentir rimbalzare nella propria mente una e una sola frase, figurata come i vecchi loghi dei registratori DVD che cambiavano colore a contatto con il bordo dello schermo: questi qua sono dannatamente bravi.

Ero stato avvertito del talento indiscusso e pluripremiato di Sonia Bergamasco (la nostra Mirandolina), della forza che sa tirare fuori Ludovico Fededegni (il burbero e misogino Cavaliere di Ripafratta) e della carica di tutti i comprimari e della regia, ma non c’è preparazione psicologica che tenga.
Uno spettacolo che non fa mai percepire i suoi 150 minuti, e che anzi, lascia il desiderio di rivedere tutto da capo, un’altra volta ancora. È un bisogno che non va via nell’immediato, ve lo garantisco.

Per ciò che concerne la trama e il ritmo in generale, lascerò una piccola riflessione in fondo, nata dal confronto postumo con altri spettatori.
La storia ruota attorno alla figura di Mirandolina, una donna dal carisma magnetico che ha ereditato un locanda dal padre che, morente, l’ha promessa in sposo a un uomo che lavora per lei. Continuamente sottoposta agli approcci piuttosto discutibili dei suoi facoltosi clienti, verrà sminuita e trattata come uno straccio da un cavaliere di passaggio. Ferita nell’orgoglio, Mirandolina si impegnerà per conquistare il cuore del cavaliere, riuscendo nel suo intento. Ma le cose tra i due prenderanno una piega indesiderata e lei se ne allontanerà, per poi scoprire che tutte le persone che prima pendevano dalle sue labbra adesso le stanno voltando le spalle, lasciandola sola.
Nel bel mezzo di questa situazione indigesta, due attrici scapestrate decidono di fingersi nobili dame per arricchirsi a discapito delle ingenuità altrui.

Mirandolina è una donna che non decide. Non può farlo.
Non decide il lavoro che deve fare, non decide con chi dovrà sposarsi, né con chi lasciarsi andare e mostrare se stessa. E quando lo farà, non verrà compresa, anzi, risulterà essere la perdente della storia, una protagonista drammatica che non ottiene nulla, se non sofferenza.
Il sipario si chiude su di lei, un solo riflettore a illuminarla.
Silenzio.

E nel silenzio, un solo pensiero.
Adesso che tutti le hanno voltato le spalle, adesso che nessuno è accecato dalla sua bellezza e dai suoi modi di fare, adesso che non deve rendere conto a nessuno, adesso e solo adesso,
Mirandolina è libera.

Marco Sipione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *