Sguardi intimi sulla lotta contro la violenza di genere – le voci di Federica e Carmine

ATTENZIONE

I pensieri, le riflessioni e gli estratti riportati di seguito sono frutto del vissuto e delle opinioni personali dei/delle nostrə associatə e, pertanto, si intendono di natura individuale e riflettono esclusivamente il punto di vista dell’associatə in questione. L’associazione declina ogni responsabilità per eventuali incomprensioni derivanti da tali opinioni, che restano di esclusiva pertinenza dell’autore.


Quei bravi ragazzi

Io, nella vita, ho incontrato solo bravi ragazzi.
Il primo bravo ragazzo l’ho incontrato a 14 anni. Lui ne aveva 18, e come tutti i bravi ragazzi ha pensato che fosse una buona idea iniziare una relazione con una ragazzina. Abbiamo festeggiato i 15 e i 19 anni insieme. A 17 anni lui, ventunenne, iscritto all’università, ha incominciato a dire che non avrei dovuto continuare gli studi dopo il diploma, che sarei dovuta rimanere in città, che studiare Lettere non mi sarebbe servito a nulla. Ha iniziato a farmi pressioni per avere rapporti sessuali. Non ho mai ceduto, e l’ho lasciato io. Ha sparso voci non vere su di me e ho perso tutti i miei amici. Ancora oggi, quando torno in città, mi saluta come se niente fosse. Non si è mai scusato. Ma non mi ha uccisa.

Il secondo bravo ragazzo l’ho incontrato a 19 anni. Lui aveva la mia età ed eravamo compagni di corso. I primi due mesi di relazione sono stati meravigliosi. Poi ha iniziato a sminuirmi, a pretendere che passassi tutto il mio tempo con lui, a esigere disponibilità sessuale. Gli dava fastidio che fossi più brava di lui all’università, che leggessi libri diversi da quelli che amava. Una sera, mentre stavamo litigando, mi ha picchiata e gettata a terra. Ha scritto ai suoi amici “ieri è successo un casino, ho picchiato Federica”. Loro gli hanno risposto “può capitare”. Un’altra sera mi ha fatta ubriacare e convinta a lasciare giubbotto e cellulare nella sua macchina, per poi lasciare le chiavi a un altro nostro amico e abbandonarmi a una festa in mezzo al nulla, dicendomi che non dovevo infastidirlo perché lui voleva divertirsi. Non avevo modo di contattarlo. Ho ritrovato la sua macchina per miracolo. Non riuscivo a lasciarlo. Mi ha lasciata lui, senza spiegazione e senza mai scusarsi, ed è sparito. Quando ci siamo rivisti ha fatto finta che non fosse successo nulla. Ma non mi ha uccisa.

Il terzo bravo ragazzo l’ho incontrato per la prima volta a 21 anni, ma abbiamo iniziato una relazione quando ne avevo 23 e lui 28. Io studentessa, lui lavoratore. Anche in questo caso all’inizio è stato tutto perfetto. Poi ha iniziato ad arrabbiarsi se uscivo spesso la sera. Se indossavo la gonna. “Me la prendo perché sono lontano e non posso uscire con te quando ti vesti così bene”, mi diceva. Ma la cosa che odiava di più era il mio essere intelligente, il fatto che prendessi un 30 dopo l’altro, l’aver pubblicato un articolo accademico prima di lui, la mia passione per la lettura. Lo odiava perché doveva essere lui quello superiore. Io non potevo essere sua pari. Ha iniziato a sminuire la facoltà che frequentavo, pur essendo il corso di laurea simile a quello frequentato da lui. Mi ha accusata di inventarmi tutto fino all’ultimo, quando ho detto “basta”. Non sapevo che si stava già frequentando con un’altra, con cui ha tutt’ora una relazione. Ma non mi ha uccisa.

Le persone mi chiedono spesso perché io abbia avuto così tanta sfortuna in amore. Non saprei perché; in fondo, ho incontrato solo bravi ragazzi.

Federica Pisacane


Per dormire bene la notte

Una donna è stata uccisa. Ma noi abbiamo comunque bisogno di dormire bene la notte.
E quindi di questa vicenda siamo solo scioccati spettatori, abbiamo imparato a ripetere, come una preghiera: “Lo ha fatto un mostro”; “Noi uomini non siamo tutti uguali”; “Per favore state attente”; “Giulia è morta… Lui le faceva i biscotti”. Queste e tante altre frasi, da inserire in un articolo, in un commento da mettere sui social con l’hashtag Giulia Cecchettin per essere sicuri di farci leggere, per poter far vedere a tutti di non avere nulla a che fare con tutto questo, un modo come un altro per dirci che noi non saremo mai in grado di fare una cosa tanto atroce. La verità è che Giulia è stata uccisa, e che purtroppo per noi a farlo non è stato un mostro. A farlo è stato un uomo.

L’omicida non è una persona malata, non è un ingranaggio impazzito della nostra macchina sociale perfetta, ma un prodotto perfettamente sano della nostra cultura. Una cultura patriarcale che non lascia nessuno innocente. Dagli uomini possessivi, ai padri violenti, a chi nei gruppi online minimizza le violenze e gli abusi di genere, a chi non accetta un no e prova comunque ad avvicinarsi a una donna, a chi non ha mai pensato di essere privilegiato, e a chi anche solo una volta ha reso una donna un oggetto, nelle parole o anche solo nei pensieri. Siamo tutti colpevoli.

Ma “boys will be boys” sempre, anzi sono le donne a essere esagerate, ormai non si può più dire nulla, se io ti urlo un apprezzamento dovresti quanto minimo ringraziare, se la notte ti seguo sotto casa lo faccio per te, perché io ti devo proteggere, se ti dico di non ubriacarti, di non uscire la sera, di non mettere quel vestito, è perché sono geloso, questo vuol dire che ti amo, lo sai che, tanto, poi ti preparo dei biscotti.

Portiamo avanti il mito del “vero uomo”, invochiamo la morte dei pazzi, diamo la colpa al satanismo, alle mode new age, ci crediamo immuni alle vite degli altri, innocenti fino a prova contraria. La verità è, ancora una volta, che siamo tutti colpevoli, e nel nostro negarlo, lo siamo ancora di più. Abbiamo preso, ucciso, lasciato il corpo nudo delle donne, sanguinante e privo di vita nella piazza pubblica, così che tutti possano commentarlo. Abbiamo avuto il coraggio di giudicare il dolore di una famiglia, abbiamo preteso fosse il nostro e abbiamo detto loro come viverlo nella maniera più corretta.

A uccidere Giulia siamo stati noi, me compreso. Siamo assassini, in una società che continua a legittimarci, che continua a darci le armi per poterlo fare, e come se non fosse abbastanza le nostre vittime sono state centocinque in Italia, fin ora. A questo punto mi domando: vogliamo davvero continuare a nasconderci dietro la mancanza di umanità? Dietro la pessima educazione? Dietro le canzoni trap o le serie tv? Vogliamo davvero continuare questa lotta per deresponsabilizzarci? Ancora, sempre?

Mi sono chiesto cosa fosse più giusto fare da parte mia, in giorni come questi. Ho pensato al silenzio, ho avuto un tremore nelle gambe e voglia di scendere in piazza, mi sono sentito impaurito e di non meritare di poter far nulla. Sono ancora il figlio sano del patriarcato. Ho capito che non potrò mai provare la paura di stare al mondo di una donna, il peso di una colpa che non si ha, incisa alla nascita, ho visto il dolore di una sorella diventare lotta, e la lotta far muovere rivoluzioni, e da questo ho capito che non posso essere assolto. Ho deciso di rinunciare alle mie difese, ai miei alibi, alle mie attenuanti, anche quando la mia cultura mi pulirà il sangue dalle mani e mi darà vestiti nuovi. So che non voglio più essere perdonato, non voglio più essere compreso, che brucerò quello che rappresento, anche io insieme a tutte e tutti per le strade, nelle città.

Non voglio avere più motivi per dormire bene la notte.

Carmine Calabrese


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