La bella estate – Cesare Pavese

Cari lettori, maggio ha portato con sé l’ineguagliabile profumo d’estate.

Ormai è tornato. Lo si avverte di giorno, tra una lezione all’università e un più gradito caffè nel nostro bar di fiducia; lo si sente di sera, quando proprio non si ha voglia di rientrare a casa e ci andrebbe di restare ore e ore a parlare e ridere con gli amici di sempre, solo per non far terminare la giornata. Eppure il profumo d’estate, quello che stiamo davvero aspettando e bramando, ci invade i sensi di notte, nel silenzio delle strade, danzante, a braccetto con gli alberi in fiore.

“La bella estate” di Cesare Pavese ha saputo spiegarmi questo profumo, accompagnandomi piacevolmente all’uscio della stagione che s’affaccia.

“A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all’improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline” – scrive Pavese, come prime righe di quello che sembra essere un esile e timido romanzo, ma che invece dimostra d’avere un’altezzosa fierezza fin dalle pagine iniziali.

Ginia è la protagonista di quella che viene definita dalla critica la “storia di una verginità che si difende”: un salto nella Torino grigia e crepuscolare che pone l’occhio sulla bohème artistica, ma sregolata.

Ha diciassette anni, Ginia; sulle spalle grava la mancanza dei genitori, il fratello Severino da sfamare e il lavoro all’atelier che tanto la fa bella davanti alle sue “stupide” amiche. Quelle amiche come Rosa, che abbandonano la verginità tra i fili d’erba della collina dove si va a ballare. Sciocche.
Ma l’estate è ricca di sorprese e nuove emozioni con l’arrivo di Amelia, una modella senza calze e senza cappello, che dà del “tu” ai bei ragazzi del Caffè del centro, che fa la smorfiosa con i camerieri, che conquista i pittori davanti ai quali si spoglia senza indugio. Una donna così diversa da Ginia, che in fondo è ancora e solo una bambina.
Bambine ci siam state tutte, però. Ed è bello immergersi nei pensieri tremolanti della piccola Ginetta, come la chiama il suo Guido, l’aitante soldato-pittore che la piccola sarta incontra grazie ad Amelia.

E subito è rumore, rimorso, paura, attesa, coraggio, il tutto costellato dagli innumerevoli e immancabili “e se?”. L’adolescenza si dirama nei pensieri di una ragazza che pian piano si fa donna.

L’estate che passa. Il freddo che torna. La passione che svanisce e cerca risposte che l’inverno non riesce a dare.

Ciò che l’estate dà, l’estate toglie. E se resta, non è colpa dell’estate, ma della vita.

La vita che insegna una cosa strana, ma vera: “non bisogna conoscersi per volersi bene”.

 


Cesare Pavese (1908-1950), scrittore, poeta, saggista e traduttore italiano.

 

Mariana Palladino

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