Andrea Scanzi, l'eterno fuori tempo

In Andrea Scanzi c’è molto di più dell’irriverente personaggio televisivo a cui tutti siamo abituati. Gentile e appassionato, Scanzi risponde di buon grado alle domande e ci guida, in una lunga chiacchierata, nei meandri delle sue due grandi passioni: la scrittura e la musica.

Il prossimo giovedì 21 maggio, Scanzi sarà al teatro dei Rinnovati con uno spettacolo dal titolo “Le cattive strade”, dedicato a Fabrizio De André. Per l’occasione l’attore-giornalista sarà supportato dall’amico e musicista Giulio Casale.

 

Un autore come De André corre il rischio di essere costantemente canonizzato. Il tuo spettacolo è un’ennesima angiografia del cantante genovese? 

Direi di no. Giulio Casale ed io avevamo proprio come obiettivo principale quello di essere il meno retorici possibili. In vita De André è stato un autore scomodo, spigoloso e con molte sfaccettature. Non piaceva a tutti e non ne sentiva l’esigenza. La sua grandezza è tale per cui non ha bisogno di retorica e di superlativi. Per far emergere la sua personalità, bisogna essere essenziali, minimalisti.

 

Il titolo del tuo spettacolo, “Le cattive strade”, vuole richiamare il lato nascosto e meno conosciuto del cantautore?  

In realtà, il titolo ha un doppio significato. In primo luogo, le cattive strade sono quelle attraversate e popolate dai suoi antieroi. I protagonisti delle sue canzoni sono peccatori, diseredati, assassini, prostitute. Se da un lato c’era la volontà di raccontare queste storie, dall’altro c’era la voglia di scovare il De André meno scontato. Durante lo spettacolo non sentirete “Bocca di Rosa”, “La guerra di Piero” o “Via del Campo”. Potrete, invece, apprezzare le canzoni di Faber meno conosciute: il nostro intento era di ricercare le perle nascoste del suo repertorio. Inoltre, sarà dedicato un ampio spazio a “Creuza de mä”, un disco che reputo straordinario.

 

Come si alternano musica e racconto nel tuo spettacolo? 

La struttura che abbiamo scelto è simile a quella utilizzata in “Gaber se fosse Gaber”, il mio precedente spettacolo. In “Le cattive strade”, però, ho la grande fortuna di essere accompagnato dalla chitarra di Giulio Casale che suonerà alcuni brani del cantautore genovese. C’è un continuo ping-pong tra i miei monologhi e le canzoni, anche se la struttura non è così schematica. Abbiamo constatato che questa formula funziona e abbiamo deciso di mantenerla.

 

Qualche anno fa hai realizzato uno spettacolo dedicato a Gaber, oggi sei in tournée con uno spettacolo che vuole raccontare le vicende di De André. Che cosa hanno in comune questi due cantautori e quanto, invece, hanno di diverso? 

Fabrizio e Giorgio sono due giganti. Hanno raggiunto un livello altissimo che è veramente difficile superare. Innanzitutto, i due cantautori hanno in comune la grande attualità delle loro canzoni che sembrano non invecchiare mai. C’è però tra i due una grossa differenza: Gaber è apparentemente più legato al suo presente, mentre De André racconta i macrotemi della vita, con i quali è molto più facile immedesimarsi. Gaber parla di terrorismo, della caduta del muro, di Moro e oggi le sue canzoni assumono un tono quasi profetico.

Un’altra grande differenza era il rapporto con il pubblico. De André detestava i concerti, ne aveva paura e negli anni settanta spesso si presentava sul palco ubriaco di whisky. Gaber, invece, era uno che rideva sul palco e decide di abbandonare la televisione proprio perché sentiva il bisogno di confrontarsi con il suo pubblico.

Avevano una visione simile, invece, sulla televisione e sul mercato discografico. Quando scopre il teatro Gaber non realizza più dischi e ricomincia a suonare  solo perché la malattia lo aveva costretto lontano dai palchi. De André non arriva a tanto, ma comunque si prende il suo tempo. Durante i quindici anni che precedono la sua morte, Fabrizio realizza solo due dischi (Le nuvole nel 1990 e Anime Salve nel 1996, ndr) in un periodo in cui si vendeva tanto e, come Gaber, decide di infischiarsene del mercato.

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La vita è un ballo fuori tempo”, il tuo primo romanzo edito da Rizzoli, ha raggiunto la terza edizione in meno di venti giorni. Ti aspettavi questo successo?

No, non me lo aspettavo per niente. Ero terrorizzato poiché non sapevo se al mio pubblico potesse interessare un romanzo. Sono felice come un bambino a ogni chiamata che ricevo dalla Rizzoli, proprio perché voglio bene a questo libro.

 

Di che cosa parla il libro?

La storia si svolge in un paese immaginario che si chiama Lupinia e ogni capitolo del libro corrisponde ad un giorno della settimana. Stevie, un giornalista fallito di quarant’anni, scrive rassegnato su un giornale filogovernativo e, avendo perso ogni ideale, si lascia vivere. Il nonno Sandro è molto più vitale di lui e progetta videogiochi per la terza età, ma per fare la rivoluzione è ormai in ritardo. E poi c’è un venticinquenne stagista pieno di sogni e un po’ utopico che però avverte un tremendo vuoto intorno a sé. Tutte queste generazioni fuori tempo avranno, a fine libro, un loro riscatto.

 

“La vita è un ballo fuori tempo” è un titolo piuttosto evocativo. I ragazzi che oggi hanno la stessa età dello stagista del tuo libro hanno ancora qualche speranza di arrivare “in tempo”?

All’interno di una generazione nascono dei geni assoluti e dei “bischeri”. Una persona come me, per esempio, si è sempre sentita fuori tempo: andavo d’accordo con Gaber quando ci andavo a cena e con De André quando ascoltavo le sue canzoni. Mi sarebbe piaciuto vivere negli anni settanta, andare a un concerto dei Led Zeppelin o ascoltare Eric Clapton. Guardare alla generazione dei padri non credo sia necessariamente un difetto. Questa mia visione malinconica, d’altro canto, mi ha aiutato a scrivere. Se poi vuoi vedere questo “fuori tempo” come legato all’emergere, la mia generazione aveva tante macerie davanti a sé e abbiamo dovuto lottare a denti stretti per farci ascoltare. Il futuro per i giovani d’oggi è ancora più difficile, ma bisogna puntare sulle proprie capacità. In ogni caso, se hai a cuore certi libri o certi ascolti, sei sempre in minoranza. Se ti emozioni leggendo Fenoglio o se vuoi una politica più onesta, sei automaticamente fuori tempo. Non serve, però, crogiolarsi nel disfattismo: l’unica soluzione è cercare di vivere al meglio i propri sogni.

 

Beniamino Valeriano

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