Imagine Dragons – “Smoke+Mirrors” (recensione)

Ricordo molto bene le parole che un mio amico mi disse commentando l’album d’esordio degli Imagine Dragons: “non si capisce che genere facciano”. In effetti, dopo una manciata di EP autoprodotti, e anche dopo quel Night Visions che ha portato il loro nome in giro per il mondo, la musica dei 4 di Las Vegas è rimasta, in qualche modo, “criptica”. Intendiamoci, il contesto di riferimento è piuttosto chiaro: si parla di un indie-pop con venature rock e alternative. Tuttavia, l’abilità della band americana (e in particolare del singer e principale compositore Dan Reynolds) di mescolare influenze e stili diversi tra i brani è innegabile, e la domanda che lascia un ascolto del nuovo Smoke+Mirrors è sempre quella: “ma che genere fanno?”

C’è tuttavia da dire che, giunta al secondo album, la band americana inizia in qualche modo a svelare le carte che ha in mano: brani come i singoli Shots e Gold suonano innegabilmente Imagine Dragons. Quello che però è simile tra i pezzi, e parliamo principalmente delle linee vocali, è accompagnato da atmosfere di volta in volta diverse, che li rendono sempre freschi e, almeno ad un primo ascolto, inaspettati. Parlando dei già citati singoli, ad esempio, non si può non notare come i contesti musicali che li accompagnano siano profondamente diversi. In Shots abbiamo un synth-pop memore di certe sonorità anni ’80, riviste in chiave più moderna; in Gold, dei confusi e concitati cori di sottofondo accompagnano una canzone che risulta essere decisamente più angosciante e meno solare della prima. Altro esempio decisamente calzante: il duo I’m So SorryI Bet My Life. La prima presenta un andamento indubbiamente rock: ci si sente qualcosa dei Queens Of The Stone Age, il che è tutto dire. La seconda si apre con voce e chitarra acustica, quasi ad opporsi all’elettricità del brano precedente. Per amore della chiarezza, dobbiamo dire che gli Imagine Dragons non inventano assolutamente niente: quello che convince, nei loro lavori, è il modo in cui prendono le influenze più disparate, per poi fonderle e dar loro una personalità propria. In questo, concorre in modo preponderante la voce di Reynolds, autore di una prova decisamente convincente e capace di dare ai brani della band un quid non indifferente.

La tracklist è ricca di pezzi che si fissano da subito nella memoria dell’ascoltatore. In realtà, quella dei 4 americani sembra una rincorsa costante alla melodia di facile presa, il che non è necessariamente un male. Abbiamo brani come la cattiva Friction che vi farà inevitabilmente muovere il piede, o come la delicatissima Dream, che si apre con un pianoforte dal suono davvero incantevole. Altro elemento decisamente positivo di Smoke+Mirrors è infatti proprio la produzione, che rende in maniera davvero efficace il passaggio tra atmosfere così distanti fra loro.

La faccia opposta della medaglia è il solito rischio di avere a che fare con un album usa e getta. La ricerca continua del ritornello cantabile o del coro da stadio porta con sé il pericolo di avere brani eccessivamente piatti e che esauriscono tutto il loro potenziale nel giro di pochi ascolti. A dire la verità, un disco come Smoke+Mirrors sembra non dover andare incontro a questo destino. Il suo punto di forza, come d’altronde quello del suo predecessore, è l’eterogeneità delle atmosfere, che rende l’ascolto completo davvero stimolante. Certo, non siamo di fronte ad una pietra miliare, né a un album che cambierà la storia del suo genere di riferimento: come già detto, gli Imagine Dragons non stanno inventando assolutamente nulla che non sia stato, seppur con i dovuti distinguo, già inventato. Ciò che fa la differenza, e che pone la band americana al vertice dell’ondata indie degli ultimi anni, è la sua capacità di prendere sonorità disparate ed unirle, aggiungendo una personalità propria e sempre più presente. E, last but not least, l’abilità di scrivere belle canzoni.

 

Giacomo Piciollo

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