Falstaff a Windsor – L’inizio di una grande stagione teatrale

Nell’intricata dimensione di maschere iconiche e scenografie suggestive che è il teatro, credo sia noto a tutti come pronunciare il nome di “Macbeth” porti una sfortuna indicibile, diretta conseguenza dei reali incantesimi utilizzati da Shakespeare all’interno dell’omonima opera, o di come l’interprete di Yorick abbia donato il suo vero teschio per l’opera de l’”Amleto”.

Tra le miriadi di affascinanti leggende che circondano il teatro scespiriano, il chiassoso ed esuberante personaggio di Falstaff non è esente da curiose leggende.

Figura centrale del dramma storico “Enrico IV”, si dice sia resuscitato sotto richiesta della stessa regina Elisabetta I, desiderosa di rivedere il personaggio ancora una volta sul palco, dopo essere rimasta amareggiata dall’annuncio del suo decesso (solamente citato) durante l’”Enrico V”.

Così nasce, almeno secondo la leggenda popolare, la commedia nera in cinque atti de “Le allegre comari di Windsor”, un’intricata opera colma di segreti, beffe e tradimenti inaspettati.

Tra le mani esperte di Ugo Chiti (adattamento e regia), Alessandro Benvenuti (il nostro Falstaff!) e gli attori e le attrici professionisti di Arca Azzurra, il Teatro dei Rinnovati di Siena ha avuto il piacere di ospitare (nelle date del tre, quattro e cinque novembre) uno spettacolo allegro, chiassoso, deliziosamente classico, per quanto non esente da qualche piccola modifica, al fine di focalizzare l’attenzione sull’egocentrico protagonista e sulle sue disavventure.

“Falstaff a Windsor” è la storia di un antieroe che vive la vita in funzione dei vizi capitali più istintivi, come l’amore per il cibo e il bere, le belle donne e il denaro. Difetto fatale — che darà il via all’opera — l’eccessiva fiducia in se stesso, che lo spingerà a scrivere e a far recapitare due lettere identiche ad altrettante nobili donne di Windsor, certo di essere troppo astuto affinché qualcuno possa rendersi conto delle sue macchinazioni.

Ma le comari di Windsor scoprono l’intrigo in quattro e quattr’otto decidendo, tuttavia, di stare al gioco di Falstaff, con lo scopo di umiliarlo in pubblica piazza. Lo spettacolo si sviluppa e diventa calamitante per lo spettatore nel momento in cui i mariti delle Comari cominciano ad avere diversi sospetti circa i comportamenti delle rispettive consorti, e si convincono della loro malafede.

Ad affiancare Falstaff, l’ambiguo personaggio Semola, a metà strada tra un ragazzino e un adulto; spesso con la testa per aria, in certi momenti si lascia andare a brevi monologhi che rappresentano alcuni dei picchi più alti dell’intero spettacolo. Un perfetto riflesso del personaggio di Enrico IV, il cui legame viene millantato da Falstaff fino allo sfinimento di alcuni personaggi, per poi rivelarsi essere ben diverso da come si credeva…

Il 4 novembre si è tenuto l’incontro con il pubblico da parte della compagnia Arca Azzurra, Alessandro Benvenuti e Ugo Chiti.

Parte del fascino dello spettacolo è dipeso dallo scoprire come Chiti abbia riadattato l’opera di Shakespeare e come ci abbia lavorato attorno, rimuovendo diversi personaggi secondari e piccole sottotrame in nome di una sintesi e focalizzazione sul personaggio di Falstaff riuscendo, nonostante ciò, a mantenere l’animo del protagonista estremamente fedele alla controparte scespiriana.

Un grande elogio è doveroso dedicarlo ad Alessandro Benvenuti, che è riuscito a portare sul palco, come lui stesso affermerà durante l’incontro, “forse il personaggio più lontano dal mio modo di essere che abbia mai interpretato”.

In fin dei conti, il talento di un attore si vede quando riesce a interpretare un personaggio ostico, uno di quelli che fa sua la scena a ogni apparizione, facendolo sembrare appena una passeggiata di salute.

Un plauso finale alla compagnia Arca Azzurra, che ci ha fatto vivere il Teatro con la “T” maiuscola; uno spettacolo che, semplicemente, fa quello che deve, e lo fa al meglio: intrattiene, diverte, coinvolge, critica, e, alla fine, lascia qualcosa.


Marco Sipione

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