Vivo ancora con i miei, ma non sono una mammona

Alla tua età ero sposata, con un lavoro e avevo te!

cit. tutte le madri del mondo

Ce lo saremo sentito dire almeno mille volte da nostra madre, stufa di vederci ciondolare per casa senza concludere nulla.

Questa, però, è la visione dall’esterno di noi Milennials (perché sì, che ci piaccia o no, i nati fino alla fine degli anni Novanta sono così definiti). La realtà è ben diversa e ve la racconto usando la storia di un esemplare di rara sfiga che si può trovare sul pianeta: la sottoscritta.

Lo scorso anno, alla soglia dei 26 anni, con una laurea in tasca (quasi due), mi sono approcciata al mondo del lavoro, cercandone uno “vero” dopo anni di tirocini (leggere “sfruttamenti”) gratuiti accettati “perché fa curriculum”.

Questo logo racchiude in sé il peggio del mondo del “lavoro”.

Ho aperto un profilo su LinkedIn, social network utilizzato da aziende e privati che ricercano determinate figure professionali. E qui è iniziato lo sconforto: lavori entry level per i quali venivano chiesti dai 3 ai 5 anni di esperienza nel campo, tirocini non retribuiti e per i quali non veniva previsto nemmeno un minimo di rimborso spese, ma che richiedevano delle skills pratiche estremamente specifiche. Nel migliore dei casi, l’offerta di lavoro non specifica gli aspetti sopra elencati, che vengono però palesati al momento del primo colloquio (se va bene).

Dopo aver mandato centinaia di curriculum senza aver mai ricevuto risposta, arriva quella che credevo sarebbe stata la soluzione a tutti i miei problemi: il Career Day nella mia università.

Prova fotografica di una me molto speranzosa prima del Career Day.

Dopotutto, se delle aziende si prendono la briga di venire in un’università sarà perché credono che il sistema scolastico italiano ci abbia formato così bene da averci fornito delle conoscenze davvero utili per il lavoro e che possiamo portare valore aggiunto alle loro aziende, no? No.

Quel giorno mi sono stati offerti:

  • 1 lavoro da copy esterna (per il quale avrei dovuto aprire una partita IVA) pagato 1 centesimo a parola. Grassi guadagni, considerato che i copy sono i testi per i social e constano di circa 3 righe l’uno.
  • 3 tirocini curricolari (quindi non pagati).
  • 2 lavori come “account”, modo carino per dire che fai la centralinista offrendo alla gente i servizi della tua azienda e guadagnando una percentuale in caso decidano di comprare tali servizi. Ci ho pure provato, per la verità, ma ho lavorato per 2 mesi diverse ore al giorno senza guadagnare un solo centesimo e beccandomi diversi insulti dalla gente che chiamavo.

In questo stato di sconforto totale, mi sono iscritta a ogni sito che pubblicasse offerte di lavoro, ho risposto a chi cercava e ho mandato candidature spontanee in posti che mi parevano interessanti. Silenzio radio.

Lo sconforto cresceva, la laurea si avvicinava, e l’idea di trovarmi con le mani in mano mi spaventava a morte, quindi ho iniziato a cercare OGNI genere di lavoro, non solo quelli per cui ho studiato, dalla cameriera alla commessa, dalla babysitter alla dogsitter. Niente anche lì, perché sono “troppo qualificata” per questi lavori.

Nel preciso momento in cui mi trovavo in un loop da cui non potevo uscire, (troppo poco qualificata per lavorare nella comunicazione e troppo qualificata per fare la commessa) mi piove dal cielo l’opportunità della vita: lavorare in un ufficio stampa.

Ma visto che i sogni son desideri, e i desideri raramente si avverano se tu e la Sfiga fate coppia fissa dal lontano 1992, il lavoro è super figo, ma è un tirocinio curricolare non pagato. Mi sono quindi trovata a dover scegliere tra il continuare a farmi mantenere dai miei prolungando l’adolescenza per altri 6 mesi e il dover tornare a casa dopo la laurea, in un paese che dà ben pochi sbocchi professionali, a meno che non si aspiri a fare il lavoratore stagionale nella vita.

Quindi, in barba a tutto ciò che mi ero promessa un anno fa, dopo diverse imprecazioni dovute alla frustrazione portata da questa situazione, alla soglia dei 27 anni e con lo sconforto ai massimi storici, mi sono ritrovata ad accettare un tirocinio non pagato perché, almeno, fa curriculum e poi, boh, se sei brava magari ti tengono.

Tutto questo per spiegare il titolo dell’articolo: ho 27 anni, vivo coi miei, ma non sono una mammona perché questa è la condizione in cui io e molti della mia generazione sono costretti. Viviamo a casa coi nostri genitori perché non abbiamo lavori che ci permettano di poterci emancipare e costruirci un futuro, perché non veniamo pagati e, quando capita, sono rimborsi spese da meno di 500 euro mensili.

E coloro che ci chiamano “mammoni” sono gli stessi che ci offrono queste condizioni contrattuali svilenti e ci costringono a vivere nella cameretta che occupavamo al liceo, con ancora i poster dei Blue attaccati alle pareti.


Melania Verde.

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