Domani 22 ottobre, presso la libreria Einaudi (Via Pantaneto, 66) alle ore 18, il professor Francesco Ricci presenterà il suo nuovo libro intitolato “Tre donne”. L’opera, la cui introduzione è a cura del professor Alessandro Fo, è dedicata alle tre poetesse del Novecento Anna Achmatova, Alda Merin e Antonia Pozzi.
Gli appassionati di poesia e letteratura avranno l’occasione di partecipare alla presentazione di un libro dai toni delicati, scritto con parole che nel mondo sensibile avrebbero il corrispettivo nei colori pastello di un quadro. Quasi si stempera il dolore che lega le tre personalità, per certi versi tragiche, nella purificazione della poesia. È proprio questo il senso del colloquio che uRadio ha avuto con il professor Ricci e che viene ben riassunto nella sua risposta conclusiva: vale la pena (ognuno sente se ciò è scritto nel proprio destino) assecondare il proprio essere “terribili”, dedicandosi alla propria arte, piuttosto che essere “felici e semplici”, anche se perfettamente inseriti nell’ordine del sistema imposto.
Senza il dolore non saremmo qui a parlare e scrivere di poesia, e sono davvero pochi -spiega Ricci- i casi nella letteratura occidentale di esaltazione della gioia, intesa non come attimo, ma come costante. Nonostante questo, il libro serba un importante insegnamento: l’arte nasce sì nella solitudine, nella fatica del lavoro mentale e fisico e nel dolore, ma è un dolore di ripiegamento su se stessi che scruta l’abisso senza farsene fagocitare (in questo caso si giungerebbe lentamente alla morte, prima psicologica e poi forse addirittura fisica).
Occorre essere coscienti del dolore, lucidi nel dolore, per poter partorire l’arte: avere la speranza di “una carezza per capovolgere il mondo”. Questo è certamente il caso di Alda Merini, a cui appartiene questo verso, ancorata ostinatamente al presente, all’amore di sé e al raggio di sole che scorge oltre il muro del manicomio. Si coglie esattamente questa sensazione nel leggere l’analisi di Francesco Ricci alla Merini: la speranza nella Salvezza.
Di ciò non si riscontra neanche l’ombra nella poesia delle altre due poetesse. La rivoluzionaria Achmatova incarna la voce di un popolo oppresso dalla dittatura, con i suoi toni severi, concreti, orgogliosi nella voglia di riscatto, perlomeno nel nome del figlio, del futuro. Infine, la poesia della giovane Antonia Pozzi, personalità definita da Ricci “retroflessa”, è caratterizzata dai toni del rimpianto, dal pensiero martellante volto al figlio mai nato, da un amore “tagliato” che fa ancora eco dal passato.
Di questo e di molto altro si parlerà domani col professor Ricci. Noi di uRadio ci saremo: e voi?
Tilde Randazzo