Proprio sorvolando la Cina di qualche km e arrivando alla frontiera sud del paese, si entra in una penisola, da anni frastagliata da un conflitto politico e militare interno devastante: questa è la penisola coreana, suddivisa in due potenti terre, con un forte peso in campo geopolitico: la Corea del Nord con i suoi mille silenzi e quella del Sud.
Oggi non ci interessa sapere cosa risieda alla base di questa antipatia reciproca decennale, ma al contrario, ciò che accade all’interno di uno di questi due paesi, quello meno democratico e spesso figlio delle prime pagine dei giornali internazionali, quella del Nord.
CAPITOLO II
La Corea del Nord è ad oggi una delle nazioni più inospitali e maggiormente chiuse ai processi internazionali che la circondano, la sua politica si fonda su un sistema dispotico e fortemente autoritario di stampo comunista, dove la figura centrale, il “Capo Supremo” o “Supremo Leader”, legato col sangue ed una corona ai predecessori, esercita un potere di controllo e paura verso i suoi cittadini, che figurano tra i meno liberi al mondo, in una lista dei paesi con più violazione dei diritti umani.
A livello militare, rappresenta un forte pericolo per le altre potenze, data la sua enorme armata ed i suoi mezzi bellici avanguardisti. Con ciò, credo sia importante svelare il tabù della Corea del Nord come la nazione più violenta al mondo: semplicemente, data la sua chiusura al mondo, emerge con più chiarezza il suo senso di insofferenza ed antipatia nei confronti dell’esterno. Comunque rimane un luogo militare inattaccabile, con oltre sette milione di soldati (riservisti compresi, contro i 700.000 mila di Seoul), sottomarini, flotte aeree di ultima generazione, strutture militari avanzatissime ed un capo politico ambizioso e spesso assetato di potenza, il tutto, fa di questa terra, una delle più inespugnabili.
No Fredoom of Speech
Da anni, il regime sottopone il paese ad un rigidissimo sistema di censure, che negli ultimi anni, con l’avvento sempre più potente delle nuove tecnologie, si è intensificato ferreamente, aprendosi quindi in netta antipatia verso il prodotto di network di stampo occidentale, affermandosi ancora una volta, nemica del capitalismo d’oltreoceano.
La popolazione coreana è costantemente sottoposta al lavaggio del cervello, obbligata a concepire la Corea stessa, come l’unica terra dove si possa vivere bene, anche perché se già entrarci è complesso, uscirci è ancora più complicato.
Nonostante la costituzione dai suoi primi articoli parli espressamente di rispetto dei diritti umani, la patria dei Kim (la famiglia monarchica sovrana) , risulta, come vedremo, essere una delle terre dove maggiormente la violazione prepotente di essi, è portata avanti, con persecuzioni e soprusi vari.
Povertà e fame
In questo paese si muore di fame, le aziende di produzione alimentare sono nelle mani della sorveglianza statale, come d’altronde le terre e i mezzi vari necessari, e gli unici che possono intervenire nelle questioni agricole sono i “Segretari del Partito di Distretto”, ciononostante, come tipico, il governo nega questa situazione e si ostina ad affermare il contrario, senza però dimostrarlo.
Sono milioni i nordcoreani che muoiono di fame o di incuria ed altrettanto numerosi coloro che muoiono a causa di disastri ambientali (cicloni e terremoti, molto frequenti a quelle latitudini), il tutto senza che nessuno, autorità in primis, intervenga.
A tutto ciò si somma il controllo sibillino dei media: sono all’ordine del giorno, ed inaspettate, le interruzioni della corrente elettrica nazionale, il non acquisto ed utilizzo di certe marche di smartphone, la vietata navigazione su determinati tipi di applicazioni e social, la zero diffusione d’ informazione.
I nuovi martiri Nord Coreani
Ma una delle questioni più delicate di questo paese, risiede nella persecuzione silenziosa e cruenta perpetuata ai danni di determinate fasce sociali: oppositori politici, disertori delle cariche istituzionali, ribelli al regime, fuggitivi e cristiani.
Attualmente questi ultimi sono circa 300.000 su tutto il suolo nord coreano, e si conta che oltre 50.000 di loro siano rinchiusi in campi di lavoro forzato e detenzione (nonostante il regime non ne parli, offuschi i dati, o sopprima l’informazione).
Una vera e propria paranoia politica, che non interna solo i singoli soggetti (dichiarati violenti o sovversivi) ma le loro intere famiglie e le cerchie ad essi vicini.
Vivono in una situazione di totale clausura una fede non dichiarata, spesso nemmeno ai figli (fino all’adolescenza) per paura della confessione con gli strumenti di culto nascosti affinché non siano trovati dalle autorità. Gli USA sanzionano da 18 anni la Corea del Nord per violazione dei diritti di culto, eppure, ciononostante, da 8 anni la situazione si fa sempre più accanita.
I Lager di Kim
I gulag coreani sono dei veri e propri campi di sterminio “vecchio stampo“, dove pietà e compassione non si ha la minima idea di cosa siano: il lavoro estremo ed estenuante, i continui soprusi e le vergogne subite, le continue fucilazioni, torture e massacri a cielo aperto, fanno di questi luoghi inimmaginabili, dei centri della morte, che nell’occidente non si vedono dai tempi del Secondo Reich.
Quei pochissimi che riescono a scappare, spesso arrivano in Cina (ma gli accordi tra i due paesi portano al rimpatrio automatico) o al sud, dove c’è sempre meno tolleranza vista la maggiore vicinanza tra le due nazioni; i fuggitivi ci riportano delle dichiarazioni indispensabili per capire il funzionamento di queste strutture della morte, Shing Dong-Hyuk (un ex bambino di 14 anni, nato nel gulag 14, il più terribile tra quelli nel paese) ci racconta:
«Quando mio fratello e mia mamma sono stati giustiziati, io avevo 14 anni ed ero in prima fila a guardare: lui è stato fucilato, lei impiccata. Le autorità del campo li hanno uccisi quando hanno scoperto che avevano cercato di scappare. E l’hanno scoperto perché li ho denunciati io»
Non esiste senso di colpa, si ubbidisce agli ordini:
«Controlla i compagni e denuncia comportamenti inappropriati senza tardare. Uno deve criticare gli altri per comportamenti inappropriati e anche autocriticarsi secondo l’ideologia di classe rivoluzionaria»
Recita la legge
D’altronde, le punizioni per chi viola il sistema sono drastiche:
«La punizione per chi viola le regole del campo è la morte»
dice la decima regola del campo.
Non possiamo fare un processo di colpa al giovane, lui, come tutti gli altri lì dentro, sopravvive, non vive, e lo fa in luce del fatto che è nato e cresciuto con questa consapevolezza e con la certezza che doveva rispettare le regole per andare avanti come e quanto gli sarebbe stato concesso.
«Non ho mai pensato perché dovessi lavorare, non ho mai avuto il tempo per coltivare pensieri di questo genere. Noi eravamo criminali, io vivevo perché le guardie mi concedevano di vivere»
Ogni forma di attività umana basilare, dal nutrirsi, alla procreazione, arrivano oltre ogni senso etico, la famiglia non rappresenta più i suoi valori, scissa e devastata dalle regole e dal disagio:
«Non mi sono mai sentito voluto bene, neanche una volta. Chiamavo i miei genitori madre e padre perché si faceva così ma non c’era rapporto tra noi. Non sono mai stato abbracciato, mio padre non mi ha mai portato in spalla. Le madri possono solo allattare i bambini. Se i bambini piangono, li picchiano. È così che sono cresciuto: picchiato da mia madre»
E ancora:
«Non possono fare altrimenti perché le madri al lavoro vengono ingiuriate e pestate, così quando tornano a casa dai figli li picchiano per lo stress accumulato».
Ma alla base di tutto questo, la vita in questi gironi infernali è rappresentata dalla totale mancanza di rapporti umani e nonostante il piccolo ragazzo, che oggi ha più di 30 anni, sia riuscito a scappare prima in Cina e poi a Seoul al sud, non scorderà mai gli orrori disumani ai quali è stato sottoposto per i primi 15 anni della sua vita, e come sempre è importante ricordare, non sono gli eventi a fare un uomo e la storia, ma la memoria ed il ricordo di essi che lui porta con sé.
«Onestamente, non sono felice. Sono scappato perché ero affamato ma adesso che non ho più fame, soffro ancora. Finché avrò memoria penso che non potrò essere felice, mi sono sentito in colpa per aver denunciato mia madre e mio fratello. Non ho mai dato importanza ai rapporti ma se c’è una cosa che mi manca oggi è mio padre. Se potessi rivederlo, gli chiederei scusa, lo prenderei per mano e camminerei insieme a lui per il quartiere di Myeong-dong».
Noël De La Vega.