La Corea del Nord, sembra quasi ridicolo porla tra i paesi più citati per la loro resistenza nel concedere diritti umani, la Cina pure, da anni una dittatura anch’essa poco attenta alle difficoltà di tutti. Ma come vedremo, con questo capitolo, inizierà una lunga successione di paesi (sempre per ora del sud-est asiatico), che poco sentiamo e vediamo nei giornali, ma che non sono tanto da meno nella violazione delle libertà altrui, primo fra tutti oggi, Singapore.
CAPITOLO III
Se proviamo a geolocalizzare sul globo Singapore avremmo probabilmente qualche difficoltà, come ne avremmo forse di più ad immaginarsi il sistema politico che possiede; ebbene sì, Singapore è una delle poche rimaste città-stato autonoma ed indipendente, ex colonia inglese prima e distaccamento della Malesia poi, diviene nazione a sé il 9 agosto del 1965 con la richiesta di indipendenza, trasformandosi a tutti gli effetti nella terra che conosciamo oggi.
Con il suo dollaro di Singapore e la sua repubblica democratica, dalla fine del secolo scorso, ha vissuto un fortissimo boom economico, che in nemmeno un decennio, l’ha portata ad affermarsi come potenza egemone (una delle Quattro Tigri asiatiche), non solo nel panorama economico asiatico, ma anche in quello internazionale, imponendo i suoi prodotti di mercato ed accogliendo masse di persone in cerca di fortuna lavorativa, una terra apparentemente per tutti e di tutti, la Dubai dell’Oceano Indiano.
Grande sfarzo di averi, macchine di lusso, grattacieli illuminati, ponti coloratissimi e capodanni da urlo, fanno di questa città-stato la terra promessa di moltissimi da ogni parte del mondo; eppure, ciononostante, Singapore (come d’altronde le grandi città arabiche di cui parleremo più avanti), si nasconde dietro un velo di apparente libertà e cosmopolitismo, perché nasconde sotto di sé ben altro, che fanno di essa, tutto, fuorché la terra da ambire.
Stampa e comunicazioni
Nell’indice dei paesi con maggiori libertà di stampa, si trova al 151 posto su 180, giusto poco sotto il Bangladesh (150), la Russia (149) ed il Venezuela (148), il che non fa di lei una grande reputazione, anzi; e questo, liste o meno, lo si vede concretamente nella sua quotidianità.
Penso al caso di un blogger che poco tempo fa, nel 2019, dopo un annuncio su Facebook nel quale criticava la situazione politica del paese, è stato bollato come Falso e sottoposto a multe e sanzioni varie.
È il caso anche del giovane studente che, criticando anch’egli la politica del paese, affiggendo due annunci in una metro, è finito a processo e pagamento di una sanzione di oltre 4000 euro, da pagare in soldi o reclusione.
Le leggi contro la prevenzione dalle fake news sono sempre più rigide, ma il problema di questo, risiede nei poteri esecutivi del paese, infatti con l’ultimo provvedimento del maggio 2020 (successivamente entrato in vigore dal 2 ottobre dello stesso anno, cioè pochi mesi fa), tutti coloro che pubblicheranno su piattaforme online (da Facebook a Twitter) annunci o pubblicazioni dichiarate “sovversive” o “volte alla messa in discussione dell’equilibrio del paese”, sono passibili di multe a sei zeri (oltre seicentomila dollari per le aziende) e o reclusione, che generalmente giunge fino ai 10 anni.
Sono i ministri stessi a comunicare la decisione punitiva e a segnalarla ai diretti interessati impresari della piattaforma in discussione, bollando come notizia falsa il post, o limitando l’account, o ancora peggio, eliminandolo dal network.
“Nessun giudice, nessuna Autorità, nessun processo, nessun fact checking, nessuna verifica terza e imparziale“
Dice il FattoQuotidiano, sottolineando come ogni decisione politica sia concatenata e volta alla soppressione della decisione popolare, che si trova perduta in un tornado di potere politico ed economico esecrabile.
Repressione e controllo
Singapore sta percorrendo sempre più la strada del soffocamento della voce del popolo, con leggi che, apparentemente volte a ripulire l’opinione collettiva da indiscrezioni, la soffoca, usando come morsa il prodotto occidentale, sempre più sottomesso alle ordinanze diaboliche del sistema politico.
“La caccia alle fake news richiede una grande responsabilità e onestà intellettuale, e i giornali pubblicano quotidianamente notizie che smentiscono le dichiarazione dei politici o possono danneggiarne la reputazione. Cosa succederà se, un giorno, un ministro dirà che una notizia vera è falsa e ne chiederà la rimozione, cosa che peraltro capita molto di frequente ovunque nel mondo?”
Parla così WIRED.it, anche lui sempre più preoccupato della situazione giornalistica Singaporese, che, inevitabilmente, porterà i singoli ad una sempre maggiore auto-censura (per paura delle pene rigidissime), lasciando il campo alla sola idea dei politici o funzionari, che avranno definitivamente monopolizzato de facto il pensiero democratico, ormai anche qui un lontano ricordo.
Attriti sociali
Come spesso accade nei paesi ad alta densità etnica, le differenze sociali sforano facilmente in intolleranza e gesti di cruda violenza.
Il 28 gennaio scorso è stato sventato un attacco armato da parte di un sedicenne indiano di fede protestante, ai danni di una moschea, pianificato sulla scia degli attacchi anti-islamici di Christchurch, Australia, di mesi fa.
La comunità cattolica e quella islamica, riunite, parlano di “armonia religiosa” ma i fatti sono ben diversi dalle parole dei pochi.
Anche le leggi contro il terrorismo si fanno più intense e la diffusione dei mezzi a disposizione è sempre più veloce.
Gli affari interni del paese si dicono pronti a contrastare ogni minaccia di questo tipo (si ricordi come dagli anni ’90 il paese sia uno dei più mirati dall’estremismo islamico), e reputano i cittadini perfettamente in grado di agire con un applicazione (che supera ormai il milione di download), in grado di comunicare direttamente alle forze dell’ordine, foto e video di azioni sospette.
Oltre 100 persone sono detenute con gli ultimi provvedimenti della passata decade, con l’accusa, fondata o non fondata, di terrorismo.
L’impatto del Covid
Singapore si trova, adesso, a confrontarsi con un problema ben più grosso, la pandemia di Covid19.
All’inizio, dicembre 2019 quando a Wuhan in Cina scoppiò il primo focolaio, Taiwan, Corea del Sud e la stessa Singapore (con poco più di 5 milioni di abitanti totali), sono state le tre nazioni più pronte e preparate a fronteggiare il pericolo contagi, con reparti sanitari efficientissimi ed un sistema di tracciamento all’avanguardia.
Ma mentre le prime due hanno continuato in questa strada efficace, Singapore ha iniziato a perdere colpi duri, in luce anche del fatto che la sua popolazione è costituita all’86 percento da migranti, la maggior parte dei quali (reputata la fascia sociale più discriminata), vive in condizioni immonde.
Da 510 casi iniziali, abbiamo già superato i 16.000 (nel maggio 2020), e la problematica contagi nelle fasce disagiate, mette in luce ancora una volta un’antidemocraticità del sistema politico Singaporese, da anni sotto il controllo di una sola famiglia.
Gli ultimi sono i primi ad essere colpiti
Questi migranti vivono in strutture fatiscenti dimenticati dal mondo, e mentre in Occidente, viene dipinta come la terra dove ogni sogno e promessa si avvera, ci sono coloro, che ancora una volta, pagano per i desideri altrui e fanno brillare questo mondo, così lontano da essere una terra ospitale e giusta.
Il New York Times ha chiaramente messo in evidenza, come l’88% dei casi di Covid19 a Singapore, si sia diffuso all’interno di questi centri di aggregazione di massa dove regna ancora una volta, lo stimolo della sopravvivenza e non del sano buon vivere.
«Vivono in dormitori affollati nella periferia della città. Questi dormitori possono ospitare fino a 20 persone per camera, rendendo quasi impossibile seguire le linee guida di distanza sociale»
Parla chiaramente il quotidiano americano, che si mostra sempre più ostico alle politiche del paese che, sotto la pressione dell’opinione pubblica, ha deciso la primavera scorsa, di far interrompere fino al 4 maggio il lavoro ai migranti (lavoro indispensabile al sostentamento del paese stesso), imponendo un ordine di domicilio per 180.000 di loro, costruendo 25 strutture di isolamento dove possano essere inseriti i contagiati, ed usare un cane robot per le strade che ripeta, “abbaiando”, le regole di prevenzione da mantenere nei luoghi pubblici.
Ancora non basta
Misure ancora inefficienti e pressoché cinematografiche, considerato il numero spropositato di casi pandemici che dai sedicimila di maggio sale ad oltre 60.000 (di oggi), e vi potete ben immaginare quanti di questi, siano civili normali, impresari, politici, e quanti invece, migranti e fasce a rischio lasciate a sé stesse.
Ora, immaginate come un paese così, dove si curano i contagi con misure “sabbia negli occhi” per chi se lo merita e per altri no, dove il controllo dell’informazione è antidemocratico e violento, dove la pena di morte è una soluzione certa a reati come lo stupro, o ancora dove le punizioni corporali (spesso a cielo aperto) da parte degli agenti di polizia contro rapinatori, malfattori e spacciatori di esseri umani e droga, o chi permane nel paese senza permesso oltre i 90 giorni massimi previsti, sono considerate un metodo di sana rieducazione, possa essere la terra di tutti e solo di tutti.
Noël De La Vega.