Il fumetto come “forma di cooperazione fra testo e immagine visse già nel mondo greco-latino”, scrive Stramaglia nel suo saggio “Il fumetto e le sue potenzialità mediatiche nel mondo greco-latino”.
Il fumetto dei greci e dei latini, però, possiede delle specificità formali e culturali che lo distinguono dal fumetto come “fenomeno caratteristico della nostra contemporaneità”.
Cerchiamo, dunque, di formulare diversamente la nostra domanda: “ Quando il fumetto acquisisce significati, specificità, linguaggi antropologicamente contemporanei”?
Ebbene, agli albori della società di massa.
Le riviste europee dell’Ottocento, dalle francesi La Caricature (1830) e Charivai (1832), a Punch (1841) inglese, alle tedesche Kladderadatsch (1848) e Simplicissimus (1896), trattavano tematiche sociali e politiche in maniera satirica e caricaturale in un’epoca caratterizzata dalla diffusione della stampa per le classi medie e borghesi. Ed il primo fumetto, come nuovo linguaggio e forma di comunicazione, è stato convenzionalmente ricercato fra i prodotti della cultura di massa statunitense. Yellow Kid, un monello calvo dai denti sporgenti, goffo e vestito di una camicia da notte gialla lunga fino ai piedi, comandante di banda di hooligans nelle strade del Bronx esprimendosi in uno slang di perfetta controcultura popolare, diventa il protagonista di una delle prime serie di strip comiche, Hogan’s Alley.
Come scrisse il giornalista e fumettista Franco Fossati , Yellow Kid fu il primo fumetto “a prendere coscienza di sé”. E il sé di cui prese coscienza ce lo spiega Ermano Detti nel suo libro “Il fumetto fra cultura e scuola”: “ Il fumetto riesce a cogliere l’immaginazione collettiva di un pubblico eterogeneo”.
Quegli anni furono importanti anche per la storia del fumetto sia europeo che italiano. Il primo numero di Linus segnò in vero e proprio un momento di svolta. Le vignette pubblicate dalla rivista, fondata da Giovanni Gandini e a cui parteciparono intellettuali come Umberto Eco, Elio Vittorini, Oreste del Buono, ponevano al vaglio del pubblico italiano numerose questioni politiche e sociali. Il fumetto diventa un mezzo attraverso cui fare informazione, esprimere opinioni, fare della satira su tematiche d’attualità. Successivamente autori come Pazienza, Mattotti, Scozzari, Crepax diventano i punti di riferimento per il fumetto d’autore italiano e “attraverso il loro sguardo raccontano gli umori e le pulsioni dell’Italia di fine anni Settanta e inizio anni Ottanta”, sostiene Fasciolo. Le potenzialità satiriche delle vignette furono sperimentate in maniera esemplare dalla rivista il Male (1978) che spianò la strada agli inserti satirici settimanali come Satyricon (1979) su Repubblica. Ed infine apparve nei quotidiani anche la singola vignetta satirica, oggi molto gettonata. Forratti, Ellekappa, Vauro, Altan, Gianelli condensano in una battuta e in un’immagine, “in un particolare,” una problematica che dovrebbe e deve portare il lettore ad una riflessione su una condizione generale, o “universale”, con cui l’uomo contemporaneo deve fare i conti.
Vignette e società di massa, dunque, vanno a braccetto. Proprio per le sue caratteristiche formali (disegno+ testo semplice ed immediato) è capace di far consumare un’idea, un messaggio, un’identità ad un gran numero di persone in un minor tempo possibile.
Se, quindi, una vignetta può dirci chi siamo, chissà, forse, quella stessa semplice vignetta può dirci, senza troppi fronzoli, come siamo messi a cultura e civiltà.
Roberta Grazia Leotta