Mommy: L'amore non basta

Mentre scorrono i titoli di coda con “Born to die” di Lana del Rey in sottofondo, una delle poche canzoni appropriate per il film data la scarsa freschezza e armonia nella scelta dei pezzi nella restante colonna sonora (Wonderwall degli Oasis fra tutte), il primo aggettivo a cui uno può pensare è: animalesco.

Sì, perché in “Mommy“, quinta pellicola del 25enne Xavier Dolan, fra le tante aspirazioni troviamo una spasmodica ricerca della perfezione; rabbiosa, potente, ambiziosa.

Diane Després è una madre sboccata schietta e irascibile, rimasta sola a occuparsi di suo figlio Steve, affetto da un disturbo dell’attenzione e da un’ indole violenta a livelli clinici. Il ragazzo, in assiduo conflitto con la realtà da cui si sente messo ai margini, non ha amici all’infuori di sua madre con la quale ha un rapporto di amore e odio che spesso dà luce a liti furibonde e disperati sprazzi di affetto. Nella loro vita si insinua la nuova vicina Kyla, balbuziente insegnante in anno sabbatico; taciturna e paziente fa da contrappeso a Diana e Steve, un terzo elemento che sembra far trovare a madre e figlio un certo equilibrio.

Con questo film, Xavier Dolan, autodidatta e autore poliedrico (è sceneggiatore, regista, montatore, compositore, costumista e alle volte anche attore dei suoi film), crea una carica vitale che pulsa ad ogni scena, come ben dimostrato dal suo esordio come attore e regista “J’ai tué ma mère” a soli 20 anni. Accecante la cura nei dettagli e scene così mastodontiche da avere vita propria se prese a caso senza un nesso logico.

Come in quel film, in Mommy, vincitore del Premio della Giuria del Festival di Cannes 2014, racconta il rapporto tra una madre e il figlio, strozzati e ossigenati dal loro reciproco amore, e la scena più simbolica di questo sentimento è quella del bacio di Steve sulla mano messa sulla bocca della madre in lacrime.

Vivono in un mondo parallelo in cui nessuno prima di Kyla era riuscito anche solo ad avvicinarsi, schiacciati e compressi nel folgorante formato 1:1, i protagonisti sembrano chiedere spazio, rabbiosi sempre sul punto di esplodere.

Cresciuto in un ambiente povero anche dal punto di vista culturale, Xavier Dolan, ispirato da un insolito Titanic, il secondo Batman di Tim Burton e Mamma ho perso l’aereo (di cui troviamo una citazione all’interno del film), è un talento puro, capace, con voglia di fare e di sperimentare, troppo rischiosa certe volte, ma pur sempre trascinante; non distogli facilmente lo sguardo da un suo film.

Questo ragazzo, perché di ragazzo stiamo parlando, non si fa scrupoli a modellare il mezzo del cinema, capace di imprimere la sua personalità con una naturalezza che lascia perplessi. Dialoghi rapidi e concreti e scene da pugno sullo stomaco, questo regista risalta sfaccettature del lato umano in maniera sfrenata ma coscienziosa, come un fiume sul punto della piena che non straborda.

Mommy non vuole lasciare messaggi emblematici o verità evangeliche, mette solo uno specchio davanti allo spettatore, riflettendo le mille e insidiose peculiarità che abbiamo nel mostrare amore alle persone a cui diciamo di tenere. Da vedere.

Francesco Folletti

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