Dopo cinque anni di attesa e innumerevoli apparizioni televisive, tutte assolutamente degne di nota anche se, per quanto riguarda la doppia partecipazione di Elio a X Factor in veste di giudice, l’opinione pubblica si spacca (tuttavia noi evitiamo di addentrarci in polemiche che mal si conciliano con lo spirito della band), ecco che, passato il famigerato concerto del primo maggio al quale peraltro hanno preso parte – continuate a leggerci se non avete intuito il riferimento! –, il nostro sestetto rilascia L’Album Biango, nono CD della loro fatica discografica, sulla scia della coppia di singoli in gara al festival sanremese di quest’anno, ovvero Dannati Forever e La Canzone Mononota, che ha regalato loro il secondo gradino del podio e una serie di riconoscimenti da parte della critica.
Il risultato finale, lo diciamo subito, è ottimo, in linea con gli standard di questo gruppo esagerato, teatrale, colto e controverso. Certo, non grida alla novità, alla spasmodica ricerca di qualcosa in grado di stupire (fisiologico, d’altra parte, di qualsiasi artista che ha superato gli “anta” e che, come nel caso dei Nostri, ha collezionato vent’anni di carriera senza mai perdere un colpo), ma i loro numerosissimi cultori avranno di che essere felici per qualche tempo. Si comincia con Televisione Russa, dove un’annunciatrice fa da apripista al primo singolone, mentre vengono brevemente citati – in russo, appunto – alcuni musicisti che hanno partecipato a precedenti edizioni del Festival (Adriano Celentano, Toto Cutugno). In coda si sentono le voci degli Elii che canticchiano le prime note di Dannati Forever, ed ecco che parte la seconda traccia, spettacolare, impreziosita da un video che strizza un occhio e mezzo ai gloriosi Monty Python e l’altro alla psichedelia di beatlesiana memoria. Come tutti i pezzi di Sanremo anche questo è indubbiamente modellato, dal punto di vista melodico, sul grande apparato orchestrale dell’Ariston, che gli Elii – non proprio gli ultimi arrivati in questo campo – sfruttano alla perfezione, e restituiscono una composizione musicalmente scenografica, accompagnata da un testo convincente, satirico, che scherza sulla nostra società e i “peccati” per i quali è previsto il fuoco eterno, al quale nemmeno il governo potrà sottrarsi. Segue La Canzone Mononota, che in molti, probabilmente troppo abituati ai soliti repertori neomelodici di Sanremo (non a caso, infatti, ha vinto Mengoni), hanno giudicato poco meritevole della seconda piazza, ma che invece è un assoluto sforzo di genialità, giustamente premiato: quasi tutto il cantato è eseguito in do; durante l’esecuzione ci sono cambi di tempo e persino di voce (con Faso, il bassista, che sostituisce Elio in un paio di battute), ed esalta la spiccata vocazione teatrale della band: nel corso dell’esibizione sanremese Elio si siede a un tavolo opportunamente sistemato sul palco e “si prende una pausa” fingendo di sorseggiare un caffè, mentre il resto del gruppo continua a suonare. L’imprevedibilità è proprio il marchio di fabbrica degli Elio e le Storie Tese, e anche in quest’album Biango, titolo a parte, raggiunge i livelli storici dei primi dischi in almeno un paio d’occasioni: nell’intro de Il Ritmo Della Sala Prove torna il memorabile “colloquio degli adolescenti” con il tizio delle figurine ormai fuori tempo massimo, che ci riporta ai fasti di Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu, 1989; altro piccolo capolavoro è la coda de Il Tutor Di Nerone, dove un improbabile fan di Maria (De Filippi, non espressamente citata, ndr) viene scartato ad un provino per raggiunti limiti di età, suscitando nello sventurato un bel po’ di disappunto («E Berlino sta sempre dieci anni avanti!»). Altri pezzi degni di nota sono il già citato Il Tutor Di Nerone, con un riferimento al vetriolo all’urbanistica folle di Milano, quartier generale dei Nostri; Come Gli Area, omaggio a Stratos & Co. preceduto da un loro contributo nella track introduttiva Reggia (Base Per Altezza); ma soprattutto Complesso Del Primo Maggio, dove il sostantivo ‘geniale’ non riesce a descrivere compiutamente il significato di questa carrellata di stereotipi sulle band che prendono parte alla manifestazione romana, dai musicisti balcani (sul cui giudizio ci sentiamo di concordare con le parole di Elio) ai «pesci grossi», Linea 77, Negramaro, Jovanotti e così via, senza dimenticare le invettive scontate dei gruppi anti-capitalisti, i valorizzatori del territorio, improbabili suonatori di bonghi “ricollocati” in complessi folk nostrani: quel che viene fuori è una vivida descrizione del microcosmo sinistroide che ogni anno affolla Piazza San Giovanni (di cui, lo ricordiamo, gli stessi Elii sono degli habitué), nonché la chiusura perfetta di un disco che non delude le aspettative, ma anzi, ci riconsegna degli EeLST mirabolanti, eclettici, divertenti e… perché no, anche un po’ ringiovaniti.
Ivan Bececco