L’Orso è una band che parla, suona e canta attraverso immagini, oggetti e sensazioni comuni ma mai banali. L’Orso riesce a rivolgersi a chi li ascolta con versi e giochi di parole che sorprendono ma non confondono. Ciò che viene fuori è una capacità di descrizione di eventi che tutti hanno più o meno vissuto, ma che raramente vengono rappresentati con combinazioni così equilibrate di leggerezza e delicatezza. Perché se la precarietà di amori felici o complicati, relazioni che si interrompono o che riprendono, lavori che non si trovano o carriere universitarie in bilico sembra ormai far parte di ognuno di noi, non è però così semplice parlarne senza trasformare tutto in tragedia strappalacrime. L’Orso invece ne parla e lo fa molto bene. Il tutto grazie a melodie spensierate e testi accattivanti che riescono a imporsi dolcemente sia ascoltando il disco che andando a vedere un loro live (consigliatissimo). Lo scorso 2 Aprile è uscito il loro album omonimo (che segue i tre EP “La Provincia”, “L’Adolescente”, “La Domenica”) e per questo abbiamo deciso di intervistare Mattia Barro, cantante, chitarrista e autore dei loro testi.
Se volessimo parlare anche a chi non vi conosce, come potreste descrivere L’orso?
L’orso è un gruppo formato da quattro elementi di diversa origine. Uniamo Messina a Ivrea, Treviso a Milano. Ventenni, laureati, ora divisi tra specialistiche e lavori (più o meno precari). Siamo un quadro esplicativo della situazione dei giovani italiani. Attivi da due anni (con svariate formazioni), abbiamo pubblicato tre EP e un disco per Garrincha Dischi.
L’album
Cosa ha influito nella scelta delle canzoni da inserire?
C’è stata una selezione sia per gli inediti che per i brani recuperati o r-arrangiati dai precedenti EP. L’intento era di dare il quadro più ampio possibile delle nostre possibilità. Dentro questo disco ci sono due anni di storia nostra, il presente, e tutto il futuro in potenza.
C’è una canzone dei precedenti EP che non è entrata nel disco ma che in realtà avreste voluto fosse presente?
Di chi ti ricordi da “La domenica EP”. Un brano molto post-rock, ma sempre vissuto in chiave pop come è consueto nelle nostre composizioni. Un brano atipico per i nostri schemi; forse per questo poteva e non poteva esserci.Il pubblico, invece, ci chiede spesso il perché dell’esclusione di Avere Ventanni, un brano abbastanza cruciale per il nostro percorso.
In altre interviste ho avuto modo di leggere qualcosa riguardo alla volontà di creare una sorta di filo logico attraverso la scelta dei titoli degli EP, rispondendo in questo modo alle tre domande “Quando?”, “Chi?”, “Quando?”. Avete voglia di parlarne e di aggiungere qualcosa?
Con gli EP abbiamo scritto una fiaba a puntate, cercando di far crescere il personaggio principale insieme a noi. Il protagonista, l’adolescente, altro non è che L’orso nel suo percorso di crescita. Alla fine, L’orso è sempre e solo il protagonista delle nostre canzoni, una sorta di alter-ego (da qui l’utilizzo singolare per nominare una pluralità come la nostra).
Chi già vi conosce da un po’ ha già avuto modo di affezionarsi alle canzoni contenute negli EP, parlateci degli inediti. Come sono nati? Erano già pronti da tempo?
I brani sono nati tra l’estate e l’autunno del 2012, alcuni da dei demo portati in sala da me e poi sviluppati, altri durante una nostra vacanza compositiva in Molise. Ci siamo presi del tempo per stare insieme e suonare solamente, una settimana, nascosti dal mondo. Di tutto il materiale composto, ne abbiamo sviluppato una parte, ristretta poi ai brani scelti come inediti. C’è dunque questa doppia matrice compositiva che si influenza da sé.
Parlando degli arrangiamenti musicali, ci sono stati cambiamenti notevoli nel passaggio dagli EP precedenti al disco? Quali?
Siamo cresciuti, senza snaturarci. Siamo migliorati, abbiamo più cognizione di causa durante la composizione dei pezzi che, in fase di registrazione, strutturalmente rimangono molto fedeli alle nostre demo. Stiamo facendo entrare le nostre varie influenze con un po’ più di coraggio, penso al coro d’attitudine etnica a fine di La meglio gioventù, il centro-america di I nostri decenni, il rap. Prendiamo ciò che vogliamo, ora, senza timori.
Avete voglia di parlarci di una vostra canzone in particolare? Potete spiegarci il testo?
Sebbene sia uno di quei brani recuperati dagli EP, ‘Tornando a casa’ è l’unico brano dedicato. Il suo significato è ‘grazie per tutto, ci vediamo presto’.
L’orso e il live
Come viene preparato e poi vissuto? Qual è, se c’è, il cambiamento che avvertite di più dai vostri esordi ad oggi?
Ora abbiamo una sicurezza diversa sul palco, dopo 130 date, iniziamo a raccogliere i frutti della nostra gavetta. Prepariamo il live nello stesso modo in cui lo facciamo da anni, in sala prove, astemi. Lo viviamo sempre meglio; con il pubblico si è instaurato un bellissimo rapporto, aumenta di mese in mese e ora canta con noi. E’ emozionante quanto straniante. In alcuni momenti di sing-along abbiamo i brividi come alla nostra prima data. E’ un rinnovarsi del rapporto noi-pubblico, noi-musica, noi-palco. E’ una gioia.
Qual è per voi la parte più bella dei concerti live?
Penso che la parte migliore sia lo sguardo d’intesa che ci lanciamo a vicenda alla fine di ogni brano: è un modo per dirci che ci siamo, che il percorso è giusto.
Come vi è venuto in mente il mashup che proponete durante i live con le canzoni di Bugo, Frankie Hi-NRG, I Cani e Articolo 31?
Durante la preparazione del tour de “La provincia”, stavamo riflettendo se inserire una cover all’interno della scaletta. C’era tantissima scelta, più o meno seria, più o meno sensata. Da qui l’idea di unire tutto ciò che volevamo in un’unica traccia, costretta in tre accordi, passando dal rap di Frankie Hi-NRG al pop degli 883, dall’indie de I Cani al divertimento di Ambra. Ogni tour abbiamo spostato, cambiato, ribaltato questa traccia. E’ puro divertissement, come è bello che sia (con i dovuti limiti).
Leggendo altre interviste ho scoperto che hai iniziato con il rap, sin dai tempi delle medie. Puoi parlarci del tuo percorso e di come sei arrivato a L’orso? Nonostante all’apparenza l’ambiente rap appaia lontano anni luce da quello de L’orso, penso che questo tipo di tua esperienza si rifletta anche nelle canzoni che scrivi adesso: mi confermi questa sensazione? Se sì, come ha influito la scrittura dei testi rap in quelli attuali?
Ascolto rap (principalmente italiano) da sempre ed è, probabilmente, il genere musicale più affine alla maggior parte dei miei mood. Da ragazzino scrivevo ogni giorno, facevo gare di freestyle, ho fatto un disco e tra i 15 e 17 anni avrò performato una quarantina di live. Il rap mi ha dato consapevolezza, coraggio, capacità di scrittura. Mi ha insegnato che la prosa italiana è il miglior mezzo che posseggo per esprimermi. Mi ha insegnato, anche, a giocare con l’italiano, a bisticciarci e a sperimentare in tutte le sue possibilità. Ne L’orso si riflette tanto questo mio passato (presente e futuro), soprattutto nelle frasi molto lunghe, in metriche veloci, nell’utilizzo voluto della prosa rispetto alle strutture meramente poetiche. Spesso ci si limita ad ascoltare il contenuto delle nostre tracce, ma mi farebbe piacere se si facesse attenzione anche all’estetica grammaticale, dall’allitterazioni ai parallelismi.
Presto tornerò anche al rap – lo so-, magari a piccole dosi ne L’orso, o in altri progetti paralleli. E’ una questione viscerale di sopravvivenza con se stesso. Mi piacerebbe sperimentare con il rap, contaminarlo un po’, soprattutto in questo periodo di sua grande libertà concettuale. Quando ci vivevo dentro, era decisamente meno aperto alle possibilità musicali esterne.
La musica alternativa italiana oggi. Cosa ne pensate? Sentite di farne parte? Cosa vi piace e cosa no?
Ne facciamo parte poiché siamo una band di pop alternativo pubblicata da un’etichetta indipendente, inserita in un contesto di pubblico e locali ‘indie’. Detto ciò, queste etichette, in una società liquida come la nostra, sono ciò che di più antico si possa utilizzare per catalogare la musica, di per sé pilastro dell’innovazione.
Dunque non ci piacciono gli schemi, i pensieri vecchi e gretti che ne riguardano, la fossilizzazione che spesso la scena (altro concetto che detestiamo) si auto-impone. La critica sovrasta il propositivismo, si preferisce il distruggere al costruire, le piccole case di fango e sterpaglia piuttosto che solide abitazioni con fondamenta. Questo snobbismo è ciò che ci rendere piccoli e fragili, in bilico nel confronto con gli altri ‘ambienti’.
Quello che ci piace, invece, è vedere quanta gente davvero ci crede, quante persone ci sostengono e ci vogliono bene e si mettono in gioco in prima persona. Amiamo quando tutto il sistema (band, locale, promoter, pubblico, etichetta) lavorano assieme con un obiettivo comune alto e non si rifugiano in uno stretto campanilismo. Pochi di loro valgono più di tutti quelli che ti aspettano negli angoli bui col coltello, grazie a Dio.
Sognando in grande, cosa augurereste a voi e a L’orso?
Una carriera come i Perturbazione.
Grazie mille per la disponibilità!
Grazie a voi.
Alice Masoni