Il villaggio degli esclusi. Volti e storie del manicomio di Siena

All’interno del progetto “Siena e il suo doppio” , organizzato in occasione dei quarant’anni dalla pubblicazione di “Sorvegliare e punire. Nascita della prigione” di Michel Faucault, lo scorso 17 aprile la cappella dell’ex ospedale oggi sede dell’Università ha ospitato l’inaugurazione della mostra di Giovanni Sesia a cura della giovanissima Valeria Mileti Nardo (fruibile al pubblico fino al 31 maggio).
L’atmosfera della mostra rivela toni sacrali: voci registrate escono dai confessionali, e i volti dei degenti, in un’aura dorata come nelle icone medievali, stanno lì a guardare, disposti ordinatamente sui muri a ricordarci della loro esistenza.

L’opera di Sesia si incentra proprio sul recupero della memoria, e attraverso vecchi negativi ritrovati, ha lavorato riproducendo su legno i ritratti dei ricoverati di fine Ottocento e inizi Novecento (del San Niccolò e di altri ospedali), fotografati al momento dell’arrivo in manicomio. Ciascuna delle riproduzioni riporta in basso il numero della cartella clinica del paziente; accanto ai volti affiorano delle parole, anch’esse riproduzioni di parti di testo tratte da una cartella clinica del 1871, come a suggerirne la storia.

Sui gradini che danno accesso all’abside, è stato posto un letto di ospedale (proveniente da un manicomio di Novara) sistemato in verticale “come a rievocare un crocifisso”, dice lo stesso Sesia, “la sacralità e il rispetto della malattia ”. Dal letto pende un lenzuolo che  riporta un’iscrizione, intitolata dall’anonimo autore “Preghiera di un malato”. Il muro di una delle stanze infatti, ha restituito questo testo inciso probabilmente con la fibia di una cintura.

In seguito all’esposizione della mostra Francesca Vannozzi, docente di storia della medicina, insieme a Maria Luisa Valacchi e Davide Orsini, ci ha accompagnato in un “passeggiata” tra i vari edifici del complesso illustrandone la storia.  Particolare interesse riveste l’edificio “Conolly” dal nome del rivoluzionario psichiatra inglese  vissuto nell’800.  Esempio italiano di  Panopticon, era destinato ad ospitare i matali più gravi, “i clamorosi”, considerati senza alcuna speranza di recupero. Costruito sulla base di un carcere modello, la struttura radiocentrica permetteva all’infermiere -guardiano di controllare da un’ala centrale tutti i malati disposti nelle varie celle.

Oggi non si è ancora avanzato nessun progetto di recupero del luogo, e come a voler dimenticare la mattanza degli esclusi, l’edificio è cadente e ospita solo le ortiche. Quello che emerge da questa storia, che certamente ha conosciuto persone illustri e illuminate , è che tra Settecento e Novecento è esistita una città dentro la città, con delle grate e delle inferriate oltre le quali molte persone sono nate e morte, senza mai avere visto il mondo.  In altri casi invece, di liberazione in seguito ad una diagnosi di guarigione, persone anziane si sono viste restituire i loro effetti personali: i vestiti di bambino con cui erano entrati.

Sento di dover definire “tristissima” la storia degli ospedali psichiatrici, che rappresentano una macchia sulla coscienza dell’ intero “civilissimo” Occidente. Nonostante i passi avanti fatti dalla medicina e dalla psichiatria tra 700 e 900, i manicomi italiani sono stati chiusi grazie alla legge Basaglia solo nel 1978. La strada che percorriamo ogni giorno per seguire le nostre lezioni, è stata calcata e ricalcata dai piedi delle gravide occulte, dei dementi, dei tignosi, dei bambini iperattivi, degli epilettici. Con le varie falle e strascichi burocratici il manicomio di Siena ha chiuso definitivamente nel 1999, cioè ieri.

Il male di vivere, con varie sfumature, ha caratterizzato l’intera storia dell’uomo. Il sistema di valori culturali e sociali ha costruito intorno al tema della follia una trama di perbenismo e ipocrisia che ha avallato un sentimento di rifiuto nei confronti della diversità, del senso di vergogna, del  trattamento del senso di colpa di una società. Chiuso dietro le grate del San Niccolò c’era la paura della società “normale” che preferiva rinchiudere il vicino  per non sentirsi minata nel proprio ordine di valori religiosi, politici, sociali.

Chiudo con una citazione tratta dall’Enrico IV di Pirandello, che a proposito della follia e della diversità ci dice: “ Questa cosa orribile, che fa veramente impazzire: che se siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi […] potete figurarvi come un mendico davanti ad una porta in cui no potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi , come quell’altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca.”

Un ringraziamento particolare va a Carlo Pellegrini per le fotografie allegate all’articolo.

Ricordiamo che il ciclo di eventi si protrattà fino al 5 giugno 2015. Per ulteriori informazioni  vi invitiamo a visitare la pagina facebook di “Siena e il suo doppio”.

 

Tilde Randazzo   

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