Il mostruoso femminile di Sady Doyle

Un saggio ad ampio spettro, che dai mostri della mitologia babilonese arriva ai femminicidi odierni, in cui l’autrice statunitense June E. Sady Doyle si interroga sulla natura del “mostruoso femminile” nella tradizione occidentale

Dead Blondes and Bad Mothers: Monstruosity, Pathriarchy, and the Fear of Female Power: questo il titolo originale del saggio di June Ellison Sady Doyle, edito da Tlon nel 2021. Il titolo italiano è Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne.

Il titolo originale è molto più esplicativo, dà un’idea molto più precisa del taglio culturale del testo, che spazia da cultura mitologica a cultura cinematografica di massa. Prenderà come esempi delle figure letterarie e cinematografiche molto famose, come Carrie, L’esorcista e molto altro, per arrivare al cuore di un problema sociologico che affligge metà della popolazione mondiale: la misoginia.


Il maschio mutilato

“La donna è sempre stata un mostro”. Sady Doyle entra nel discorso senza mezzi termini: questa creatura che perde sangue una volta al mese, che è capace di procreare e non è provvista di genitali maschili è un mostro, un “maschio mutilato”, come ebbe a definirla Freud.

Ebbene, l’obbiettivo dell’autrice è quello di attuare una “contromitologia: portare alla luce il potere femminile disintegrando le narrazioni costruite per contenerlo o celarlo”. Divide queste narrative in tre figure -figlie, mogli e madri-, dimostrando come dietro ogni “mostro” non ci sia altro che un unico grande responsabile. Il patriarcato, ovviamente.


Barbablù e la violenza della normalità

Tutti conosciamo la storia di Barbablù che uccise le sue sei mogli. Il tema del femminicidio non è caro solo alla letteratura, ma è tristemente di grande attualità e ne abbiamo parlato durante il Mese della Donna, facendo riferimento al contesto italiano.

Sady Doyle ci riporta un dato inquietante: durante la guerra in Iraq sono morti 6.488 soldati; nello stesso periodo sono morte 10.470 donne per mano di mariti, ex fidanzati, parenti, o uomini respinti.

Non si può negare l’evidenza: questa è una guerra domestica, una guerra civile, se vogliamo, in cui una donna che si difende viene immediatamente considerata mostruosa. Non solo nella narrativa dei media, ma soprattutto agli occhi della giustizia. La Doyle ci illustra dei casi giuridici di donne che hanno subito l’ergastolo per “essersi vendicate”, confrontandoli con le pene più leggere date a stupratori o a uomini violenti. Ma qua non si tratta di vendetta. Si tratta di disperazione.


Come si fa a tenere Mamma al suo posto?

Vorrei illustrare un esempio molto interessante di come Sady Doyle sfrutti la narrativa per poi spiegare un problema sociologico. Capitolo 6: Famiglia. Un romanzo preso in esame è Il quinto figlio (1988) di Doris Lessing: narra di come la madre perfetta di una famiglia perfetta crolli in modo disastroso con l’arrivo di un quinto figlio con evidenti problemi psichiatrici. Ciò le fa rimettere in dubbio il concetto di maternità, per via del senso di colpa che prova nel non riuscire ad amare in modo perfetto questo figlio imperfetto. Ma la maternità (e ancora questo problema ossessiona le generazioni contemporanee) non è innata.

Qui Sady Doyle aggancia il saggio della femminista francese Elisabeth Badinter, L’amour en plus (1980). L’autrice spiegava come il concetto di maternità non sia innato, non esiste, è stato costruito culturalmente. La Banditer venne pubblicamente disprezzata per aver detto ciò che ormai ammettono anche gli psicologi. Ai tempi uno psicologo in particolare, il famosissimo Bruno Bettelheim, scrisse una lettera di protesta all’editore: “non perché pensava che Banditer stesse sbagliando: aveva ragione, ma le donne non avrebbero mai dovuto raggiungere quella consapevolezza.”

Ed è così che si costruisce un mostro femminile.


Voi dovrete diventare streghe

Sady Doyle è una autrice di grande ironia, la sua lettura in chiave femminista dei grandi capolavori della letteratura, della cinematografia, della saggistica è molto illuminante. Si può non essere sempre d’accordo col suo punto di vista, ma, per citare Guia Soncini, è bello poter dire di non essere d’accordo, perché siamo ancora liberi di farlo.

Il fatto che l’autrice subisca la furia dei “leoni da tastiera” ci dimostra come parlare di misoginia, patriarcato e femminicidio sia necessario. Necessario, dovuto e obbligatorio.

L’incitamento al diventare streghe, col quale chiude il saggio, non va frainteso. La strega, spiega, è il mostro femminista per eccellenza. È una donna che non ci sta ad essere sottomessa. Se devi essere un mostro, sii una strega.


Lavinia Consolato

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