Blur – “The Magic Whip”

The Magic Whip è un disco che non doveva esistere. Potrebbe essere fuorviante iniziare in questo modo una trattazione sull’ultimo lavoro in studio dei Blur, eppure non scherziamo quando diciamo che esso è nato letteralmente per caso. Nel corso del tour della reunion, datato 2013, Damon Albarn e soci si sono fermati per una manciata di giorni ad Hong Kong, a causa dell’annullamento di alcune date, cosa che ha permesso loro di ritrovarsi in studio e di dare vita ad alcune jam sessions. Ciò che ne è venuto fuori ha colpito in particolar modo Graham Coxon, il chitarrista, che dopo un anno ha recuperato le idee partorite in quelle sessioni e le ha portate allo storico produttore Stephen Street, con l’intento di farne un album. La parte strumentale di The Magic Whip è nata così: i testi sono usciti dalla penna di Albarn, mai del tutto convinto del progetto, che si è recato in solitaria ad Hong Kong per trovare un’ispirazione fino a quel momento latente. Le premesse potrebbero suggerire un risultato altalenante e raffazzonato: non è affatto così.

L’apertura (e che apertura) è affidata a Lonesome Street, un brano movimentato ed efficace, dominato dalle chitarre di Coxon, e che riporta con la mente alle sonorità di Parklife, seppur edulcorate con un pizzico di elettronica. La successiva New World Towers risulta più vicina alle atmosfere di Everyday Robots, ultimo lavoro solista di Albarn: un pezzo dunque più pacato ed atmosferico. Risultano essere queste le due “anime” di The Magic Whip, e la doppietta iniziale ne è un ottimo esempio. Oltre a questo, ci sono degli episodi più particolari e, per certi versi, sperimentali. Citiamo, in questo caso, Ice Cream Man, che incorpora sonorità reggae con un uso più consistente della già citata elettronica. In I Broadcast troviamo rimandi al garage rock, mentre Pyongyang e Ong Ong portano con sé due modi differenti di vedere l’Oriente del nuovo millennio: caotico e sovrappopolato la prima, festoso e colorato la seconda. C’è anche il tempo per un richiamo ai Gorillaz, l’altra creatura musicale di Albarn, in Ghost Ship, mentre in chiusura troviamo un brano come Mirrorball, che ricorda non poco gli ultimi Arctic Monkeys.

Cosa rappresenta, dunque, questo The Magic Whip? Sembra di trovarsi di fronte ad una raccolta di idee prese qua e là, più che ad un album coerente e pensato come tale. I riferimenti sono molteplici, i brani sono decisamente eterogenei: anche l’orecchio non esperto riesce ad avvertire come ognuno di essi porti principalmente una sola firma, anziché quella dei Blur nel loro complesso. Detto questo, le idee succitate sono quasi tutte più che buone, e risulta difficile non apprezzare un disco come The Magic Whip. L’ascolto è piacevolissimo e costellato di ottimi momenti, nonché di sorprese più o meno inaspettate. Un album che è una testimonianza inconfutabile: i Blur, e la loro musica, sono ancora vivi.

 

Giacomo Piciollo

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