UN TUBO JAZZ NIGHTS : ENRICO RAVA NEW QUARTET

Credo che tutti i jazzisti italiani, in fondo, siano sempre rimasti fedeli a se stessi. Guardiamo l’America: tra easy jazz e fusion hanno rischiato una specie di deriva

(Stefano Bollani)

 

Contrariamente a quanto si possa pensare, introdurre un articolo che si concentri su un concerto di uno dei più grandi artisti italiani di sempre (sia nel jazz che fuori da questa etichetta musicale), non è una faccenda impossibile, né tantomeno difficile e perigliosa.

Non bisogna lavorare molto nelle ricerche e negli approfondimenti, perché molto è stato già fatto; dati, titoli, album, riconoscimenti, date e concerti sono stati tutti accuratamente registrati, trascritti e inscritti in centinaia di altri articoli che hanno a che fare con Enrico Rava, il grande maestro italiano della tromba. Ciò che risulta particolarmente ostico è, al contrario, saper dare un contributo, seppur flebile, a tutta quella masnada di articoli e recensioni che esistono sul suo conto.

Un confronto impietoso questo, in cui a spuntarla deve essere sicuramente la storica bravura dell’artista torinese; questa è l’unica certezza che deve bastare a chi sa riconoscere l’eccellenza nelle arti.

 

Enrico Rava, classe 1939, cresce a Torino e dopo aver visto dal vivo un concerto di Miles Davis nella sua città, si dedica tout court alla carriera (termine che non apprezza particolarmente; si veda più avanti, ndr) da musicista. Incide il primo album all’età di ventidue anni (1957) e da questo momento in poi l’ascesa artistica viene sugellata da una folta costellazione di collaborazioni con artisti di altissima caratura, tra i quali Archie Sheep, solo per citarne alcuni. Veloce sarà il percorso che lo consacra al successo e alla definitiva immagine di grande della musica italiana.

Avrebbe potuto arroccarsi nello status di maestro della tromba, ma Rava si è distinto sempre per la sua smodata curiosità e proliferazione artistica che si è rivolta spesso a diversi generi, apparentemente inconciliabili con il suo modo di provenienza, quello del jazz; e così si dedica alla rivisitazione delle canzoni di Michael Jackson, a quelle di Battisti, arrangia insieme a Massimo Ranieri un album di canzoni napoletane e molto, moltissimo altro ancora.

Troverà anche il tempo di dedicarsi alla radio insieme a Fiorello, dopo che quest’ultimo lo aveva imitato nel personaggio Paolo Fava in una sua trasmissione televisiva.

Naturalmente, nessuno può conosce il suo segreto per una vita così attiva.

Rava 1

Tra le sue numerose tappe di un tour che lo vede alla guida del suo nuovo quartetto, il New Quartet per l’appunto, Enrico Rava ha proposto due live consecutivi presso il locale senese Un Tubo. Giovedì 21 e venerdì 22 maggio, il jazz club, gremito fino alla porta d’ingresso, ha ospitato due concerti che rimarranno sicuramente memorabili per gli spettatori.

Enrico Rava, noto anche per la sua particolare predisposizione a fare da talent scout, ha assoldato al suo seguito il chitarrista Francesco Diodati, il contrabbassista Gabriele Evangelista e il batterista Enrico Morello, per dar vita ad un quartetto che si distingue dalle altre formazioni per una squisita agilità e per le fluide relazioni che intercorrono tra gli strumenti durante il concerto.

Sotto la funzione catalizzatrice e demiurgica della tromba del maestro Rava, ogni strumento ha avuto la sua opportunità di distinguersi e di concretizzarsi sonoramente alle orecchie dello spettatore; e così la chitarra è diventata abbacinante nei suoi virtuosismi acidi, il contrabbasso è stato l’elemento sotterraneo che ha scavato alla ricerca di suoni, la batteria, infine, alternava momenti di sensibilità a esplosioni parossistiche e malate di violenta energia. E la tromba di Enrico Rava è stato, nuovamente, lo strumento con cui tutti gli altri hanno dialogato, in una long session della durata di due ore circa con pochissime pause, per arrivare poi al finale di un concerto che ha richiesto, a furor di spettatori, un meritatissimo bis di degustazione.

 

Al termine del live, abbiamo avuto la grande opportunità di avvicinarci al maestro Rava per potergli porre qualche semplice domanda. Nonostante la lunga sessione e diversi concerti alle spalle, Enrico Rava ci ha concesso molto benevolmente la possibilità di fare un’intervista.

Tra le sue prime osservazioni, l’artista torinese constata che il suo New Quartet si distingue da tutte le sue precedenti formazioni (e sono davvero numerosissime1) in quanto a agilità e capacità di reazione degli strumenti. Un ottimo ascolto reciproco, continua Rava, è ciò che dà le fondamenta necessarie per impalcarvi una commistione di strumenti e di suoni.

Rava 2

Poi rivela che il prossimo autunno vedrà l’uscita del nuovo album nell’attuale formazione, da accompagnare in seguito con una serie di concerti e tour che li porteranno a visitare diverse città europee, asiatiche e anche americane.

Il discorso si sposta sui suoi rapporti con quella che volgarmente viene chiamata musica leggera; con un’osservazione molto ampia, il maestro sostiene che tra i due universi musicali, quello del jazz  e quello della musica leggera, non esistano discrepanze, ma solo l’univoca realtà che vede il jazz come un genere che si è andato via via sclerotizzando in una nicchia di ristretti eletti. E’ piuttosto spiacevole, sostiene Rava, constatare come molti artisti abbiano deciso di fare musica per sé, senza il parere del pubblico e all’interno di una cerchia di favoriti con cui condividere suoni sempre più complicati; il suo dovere, afferma, sarebbe invece quello di continuare ad essere coerente allo stile di suono che ha scelto sin dall’inizio e che si ispira ad una quieta semplicità.

La complessità non è indice di bravura e per dimostrarlo, continua, basterebbe estrapolarla fuori dal suo contesto in cui si tenta di trasmetterla.

A quanti desiderano fare musica nella vita, Enrico Rava suggerisce, senza esitazioni, di evitare in tutti i modi di pensare ad una carriera, in quanto questo termine celerebbe in maniera subdola una costante attenzione al lato economico e ciò, afferma il maestro, non può che diventare un auto-sabotaggio alla propria creatività.

Quando poi l’argomento di conversazione si sposta sulle sue occasioni avute durante la sua vita, altrettanto spontaneamente risponde che talvolta si è trattato di culo (citazione necessaria, ndr); e non teme di ripetere questo termine, ammettendo che la fortuna in questa vita esiste e delle volte bisogna sapersela cercare.

Al termine della fortunata intervista, chiediamo a Enrico Rava di consigliare un album o un brano da ascoltare almeno una volta nella vita; ancora, senza esitare, risponde St. James Infirmary blues, un brano inciso nel 1929 da Louis Armstrong & Hot Five, per la sua drammaticità shakespeariana.

Così parlò Enrico Rava.

 

Leonardo G. Stenta

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