The Green Place – Le Guerre dell’Acqua

Il diritto all’acqua risulta come un estensione del diritto alla vita che troviamo nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Ma è davvero accessibile per tutte le persone del Pianeta? Non proprio.

CONFLITTI: SI MUORE DI PIU' PER MANCANZA D'ACQUA CHE PER I PROIETTILI -  saluteglobale.it

L’acqua, fonte di vita e bene essenziale

La vita è nata in acqua e dipende dal principio da questa molecola fondamentale, senza di essa non sarei qua a scrivere per voi. È alla base delle grandi civiltà; basti pensare agli egizi con il Nilo o il Tigri e l’Eufrate per i Sumeri fino ad arrivare al Fiume Giallo in Cina e alle civiltà dell’Indo.
Possiamo snocciolare un po’ di numeri, che già sicuramente conoscete:

  • Il 70% della Terra è occupata dall’acqua.
  • Solo il 2.6% dell’acqua è nelle terre emerse di cui solo lo 0.015% è utilizzabile per gli organismi.

Quale sarebbe quindi il problema per la civiltà di oggi? Che non è distribuita omogeneamente, quindi alcune regioni ne sono ricchissime e altre non ne hanno nemmeno una goccia. Questo porta a grossi problemi che si rispecchiano anche sul piano Geopolitico.

Oltre 2 miliardi di persone non hanno la necessaria disponibilità di acqua e per l’ONU questa cifra sale quasi a 5 miliardi con le previsioni al 2050. Ma come è possibile tutto questo se pensiamo che addirittura il diritto all’acqua è un diritto universale, come scritto sopra?

L’acqua, come diritto e obbiettivo, è inserita anche nell’Agenda 2030 stilata dall’ONU.

L’esempio della GERD…

Spieghiamo inizialmente cos’è la GERD, il suo nome completo è “Grand Ethiopian Renaissance Dam” ed è la diga che sta costruendo l’Etiopia sul Nilo Azzurro (affluente del Nilo). Dove starebbe il problema? La diga, andando a intercettare il Nilo Azzurro, andrà a far diminuire, essendo la diga più grande del continente Africano,  l’afflusso idrico di Sudan ed Egitto che dipendono anche loro dalle acque del Nilo.

Il Nilo Azzurro confluisce insieme al Nilo Bianco nel Nilo a Karthoum (Sudan), quindi una diminuzione dell’afflusso del Nilo Azzurro potrebbe portare a una considerevole diminuzione del volume idrico disponibile per le due nazioni a valle, Sudan ed Egitto.

Il Sudan, però, anche in ragione dei cambiamenti politici interni (ultimo colpo di stato a ottobre 2021) ha prima appoggiato Addis Abeba e poi il Cairo; l’Etiopia dal canto suo difende il progetto, iniziato nel 2011 ed appaltato alla Salini Impregilo, sostenendo che l’energia prodotta (aspettata di 16.153 GWh) servirà per aiutare lo sviluppo economico e sociale del paese.

L’Etiopia è di per sé un paese controverso, dove 65 milioni di abitanti su 100 non hanno accesso alla rete elettrica e quelli che hanno accesso sono solamente all’interno dei centri urbani più industrializzati. Le sue controversie non finiscono qua, è il paese Africano con le maggiori riserve idriche e con una capacità di energia idroelettrica che sfiora l’85% della capacità totale installata ma la siccità ha gravemente colpito il sistema con conseguenti carenze energetiche.

Ecco spiegato il motivo, in breve, della costruzione della “Millenium Dam” o “GERD”. L’Egitto sostiene ancora l’accordo fra loro, Regno Unito e Sudan del 1959 per spartire le acque del Nilo; accordo in cui gli altri paesi africani del bacino del Nilo non sono stati minimamente inclusi. Il governo egiziano sostiene l’accordo perché questi altri paesi ricevono una maggior quantità di piogge rispetto al Cario, d’altro canto gli stessi paesi ribattono che con il riscaldamento globale le piogge sono molto meno regolari.

L’Egitto trae dal Nilo il 90% del suo fabbisogno idrico; quindi, se il fiume dovesse diminuire di portata per la nazione inizierebbe una crisi idrica. Nel luglio del 2021 è stato completato il secondo riempimento della diga etiope per poter far funzionare le prime due turbine ed ha scatenato delle reazioni da parte di Egitto e Sudan.

Piccola info sui costi: La diga è costata ben 4.6 miliardi di dollari e dovrebbe essere pienamente operativa nel 2022.

Ma questa diga rischia di essere la goccia che fa traboccare il vaso nel caso in cui Sudan ed Egitto sperimentino delle crisi idriche proprio a colpa di essa, ma da parte sua l’Etiopia potrebbe veramente combattere la povertà che la affligge. Chi sostenere? E chi ha dalla propria parte delle giuste ragioni? Scoppierà un caso Geopolitico?

Grand Ethiopian Renaissance Dam

The Anatolia Project, Turchia vs Medio Oriente

Chiamato “Progetto dell’Anatolia Sud-Orientale” o GAP, è nato negli anni venti del 1900 con l’obbiettivo di costruire ben 22 dighe sui fiumi Tigri ed Eufrate con un costo complessivo che si può paragonare all’8% del PIL turco attuale. Una delle dighe più grandi è quella di Ilisu, posta sul Tigri vicino al confine con la Siria ed è stata completata nel 2020.

C’è stato un grosso impatto in Medio Oriente, soprattutto per quel che riguarda Iraq e Siria con numerose dispute e crisi diplomatiche; perché la costruzione delle dighe ha diminuito sensibilmente la quantità di acqua a valle. La Turchia, però, sostiene di poter gestire come vuole i due fiumi perché nascono nel suo territorio.

E qui si sbatte proprio sul diritto all’acqua, può un paese decidere di usare delle risorse idriche che nascono nel suo paese, come vuole e desidera, anche se va a minare la sopravvivenza di altre popolazioni?

Addirittura si stima che l’Iraq rischia di veder diminuire di almeno 11 miliardi di metri cubi d’acqua il proprio afflusso idrico al 2030, della Siria invece non penso ci sia bisogno di parlarne dato che non sono un esperto e la maggior parte conosce il suo stato abbastanza precario con annesse le numerosi siccità affrontate.

Di conseguenza, la gestione delle acque in questo contesto è veramente problematica e causata anche dall’aggravarsi delle conseguenze del cambiamento climatico.

Ecco la zona interessata dalla serie di dighe.

La Guerra dell’Indo

L’Indo nasce in Tibet e scorrendo poi in India (attraverso la regione del Kashmir, attenzione) va verso il Pakistan in cui conclude la propria corsa. La regione interessata dai problemi dell’Indo è legata al Kashmir, che sicuramente conoscerete per motivi non troppo felici.

L’Indo è fondamentale per il Pakistan, dato che è una delle pochissime fonti di acqua dolce in un territorio semi arido, e per l’India perché sostenta la parte Nord Ovest del paese (Punjab indiano).

La storia della guerra dell’Indo è molto lunga e controversa, nel 1947 quando si discuteva sui confini fra Pakistan e India non si riuscì a decidere come dividere lo stesso fiume dato che era già di importanza vitale per entrambi gli stati. Naturalmente poi le controversie della regione si intrecciano fra loro e difatto i primissimi scontri sembrano riguardare più l’ideologia che la condivisione delle risorse idriche.

Una svolta arrivò nel 1960 con il “Trattato delle acque dell’Indo” e conferì ai due stati il controllo di 3 fiumi a testa, con un rilassamento della tensione fra i due stati. Ma l’aumento esponenziale della popolazione ha riportato il problema a galla negli anni ’90, anni in cui sono ricominciati gli scontri in Kashmir.

La questione è estremamente complessa dato che l’India sfrutta a livello idroelettrico i 3 fiumi che gli spettano dal trattato e sostiene di non danneggiare il flusso delle acque dell’Indo.

Il vero problema per il Pakistan sta nel fatto che dipende completamente dall’Indo per il suo approvvigionamento idrico e non vuole privarsi della sua parte del Kashmir perché ciò significherebbe rinunciare ad altri due corsi d’acqua e DIPENDERE TOTALMENTE dall’India.

L’India come sapete ha revocato lo stato costituzionale speciale alla regione che si trova nuovamente in mezzo agli scontri, la motivazione è che ci siano presenti presunte organizzazioni terroristiche e questioni relative alla sicurezza ma in realtà è innegabile che Nuova Delhi stia affrontando uno stress idrico mai visto prima.

Ma cosa penseranno di tutti questo i veri abitanti del Kashmir? Che da ormai 70 anni si vedono privati della loro libertà, delle loro acque e sono perennemente in stato di guerra? Non pensate che anche loro pretendano la loro acqua?

Le crisi idriche e il “Day Zero”

Per Day Zero si intende quando una città (o località, paese) non ha più accesso alle sue risorse d’acqua che utilizza normalmente perché i bacini da cui attinge sono sotto elevato stress idrico.

L’esempio più lampante lo dà Città del Capo, in Sudafrica, che è andata su tutte le prime pagine dei giornali internazionali nel 2018 quando il sindaco fissò la data del Day Zero al 16 aprile. Qui ci fu uno sforzo incalcolabile da parte della popolazione (di industrie, zootecnia e agricoltura) che riuscì a far posticipare il fatidico giorno diminuendo drasticamente il proprio consumo idrico.

Il Sud Africa a quel tempo stava affrontando una delle siccità peggiori, ben 3 anni senza piogge degne di nota; il problema si protrae anche nel 2019 ma da quel momento in poi la situazione è migliorata.

Pensate che gli abitanti di Città del Capo avevano diminuito il loro utilizzo di acqua a 50 litri giornalieri a testa. L’acqua veniva riutilizzata in tutti modi, dal lavello al wc, dalla lavastoviglie ai pavimenti, con le docce ridotte a 1-2 minuti.

Quindi pensate a quanto e come può essere riutilizzata l’acqua con il metodo a cascata, che è già stato preso in carico da alcuni paesi.

La soluzione l’ha trovata Israele?

In Medio Oriente sono diversi i paesi che hanno attivi impianti di desalinizzazione delle acque, ma il primato per la gestione delle risorse idriche se lo aggiudica Israele. Nel caso degli impianti di desalinizzazione il processo è semplice, si prende acqua dal mare e si desalinizza attraverso numerosi filtri o con processi termici.

Tutto bellissimo, questa è la soluzione, direte… Ma anche no. Purtroppo, gli impianti di desalinizzazione hanno bisogno di una quantità smisurata di energia per funzionare, e Israele è stato fortunato grazie a diverse scoperte di giacimenti di gas naturale nelle sue acque territoriali che gli garantiscono una riduzione dei prezzi.

Tra l’altro Israele è fra i primi paesi al mondo in cui si ricicla veramente l’acqua con l’utilizzo a cascata (86% di riuso).

E in Italia come siamo messi? Abbastanza male!

Inizio col dire che la rete idrica italiana è un colabrodo, in alcune zone si perde più acqua di quella che arriva agli effettivi consumatori. Purtroppo, qui dobbiamo snocciolare un po’ di dati, perché solo così possiamo capire la gravità della situazione:

  • L’Italia è seconda in Europa per prelievo di acqua potabile dalle falde.
  • In 9 comuni nel 2019 ci si è dovuti affidare al razionamento delle acque (12 nel 2018).
  • Il 28.4% non si fida a bere acqua dal rubinetto.

Ma i dati peggiori provengono dalle reti idriche dove ben il 42% dell’acqua introdotta negli acquedotti non raggiunge il consumatore; su 100 litri ben 42 vengono persi, se ogni italiano consumasse in media 215 lt al giorni con quel 42% potremmo soddisfare altre 44 milioni di persone!!! Si perdono annualmente 3.6 miliardi di m3 di acqua potabile.

Il dato più eclatante, a parer mio, è quello di Latina e Frosinone; qui si perdono rispettivamente il 74% e l’80% di acqua potabile nella rete idrica, un dato da brividi.

Rimaniamo in Italia e andiamo in Veneto…

Perché in Veneto? Perché i Veneti, giustamente, in alcune zone (Verona, Vicenza e Padova) sono completamente scoraggiati a bere acqua dal rubinetto dal 2013; anno in cui si scoprì la contaminazione delle falde da PFAS.

Cosa sono i PFAS? È l’abbreviativo di Sostanze Perfluoro Alchiliche e formano una grande famiglia di composti. Composti che usiamo quotidianamente con l’utilizzo di padelle antiaderenti, carta forno, tessuti tecnici, ecc…

Fortunatamente fu trovata la responsabile di questo inquinamento, la Miteni s.p.a., che fu obbligata a ridurre il proprio impatto ambientale e coprire i costi delle bonifiche. Questa dichiarò fallimento nel 2018 non riuscendo a ricoprire i costi delle bonifiche e ristrutturazione necessari.

Ma cosa rimane ora ai Veneti? Rimangono delle falde inquinate, obbligati a scegliere il meno peggio; utilizzare acqua in bottiglia per evitare che il proprio corpo sia contaminato da PFAS (alcuni composti ci impiegano 56 anni ad essere rimossi dall’ organismo).

Foto Ufficio Stampa Greenpeace/Francesco Alesi. Greenpeace alla Regione Veneto per protestare contro l’inquinamento da PFAS, sostanze chimiche pericolose, presenti anche nell’acqua potabile di molti comuni tra le province di Vicenza, Verona e Padova.

La molecola della vita

Fondamentalmente senza acqua non avremmo vita su questo Pianeta, e forse sarebbe meglio; dato che non si sarebbero evoluti nemmeno quegli organismi che stanno portando distruzione ovunque… Noi.

Mettendo da parte le battute, l’acqua è la molecola che permette la prosperità sul Pianeta ed è lì che la vita è nata, cresciuta e si è poi evoluta. Motivo per cui dovremmo renderle un immenso grazie per averci permesso di vivere su questo mondo.

Tutto questo discorso filosofico per dirvi che l’acqua non va sprecata, e sì, parlo proprio con voi che lasciate il rubinetto aperto quando vi lavate i denti, che lasciate scorrere litri e litri d’acqua per lavare i piatti, con chi accende la doccia e “Eh sì ma aspetto che si scaldi per entrare” mentre scorrono nello scarico decine di litri d’acqua.

Sembrano le solite raccomandazioni stile maestrina dell’asilo, perché l’acqua va gestita e non dobbiamo abusarne. Sulla Terra la natura ha impostato un principio da cui Homo sapiens si è totalmente distaccato; questo è il riutilizzo, riuso e riciclo di ogni singola molecola.

Pensate, a un giorno di luglio in cui ci sono 35°C e il vostro paese ha i rubinetti chiusi causa mancanza di acqua e per averne un po’ dovete rifornirvi alle camionette messe a disposizione o andare a comprare litri e litri al supermercato. La doccia? L’acqua per bollire la pasta? Per lavare i piatti? Quella per lo scarico del wc? Non diamo per scontato cose che non sono scontate proprio per nulla.

L’acqua è vita, l’acqua è libertà, l’acqua è un diritto.


Sebastiano Renzetti

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