Panta rei and singing in the rain: Gabbani vince a Sanremo. Riflessioni bloggeristiche

Parlare di Festival di Sanremo è sempre abbastanza impegnativo, poiché, come ogni manifestazione nazionalpopolare, alimenta l’opinionismo, le guerre intestine fra i sostenitori di un cantante o un altro, i pettegolezzi sui cachet, gli interrogativi sul perché è stato invitato quello o quell’altro ospite. Eccetera, eccetera.

In queste righe, mi permetto una licenza dall’approccio giornalistico e per oggi scriverò in stile blog, perché sul Festival c’è già fin troppo da leggere e invece volevo esprimere come è cambiata negli anni la mia personalissima percezione di Sanremo.

uRadio ha spesso nutrito un certo interesse per questo evento: diversi anni fa siamo stati in sala stampa e le nostre redattrici lo ricordano ancora come un’esperienza meravigliosa e molto professionalizzante. Perché oltre ogni gossip, riprendendo le parole conclusive di ieri sera della Maria nazionale, Sanremo è ancora la vetrina di tanti grandi professionisti. E non mi riferisco (solo) ai cantanti in gara, ma (anche e specialmente) all’orchestra, ai maestri, ai fonici e a tutto lo staff che lavora dietro le quinte.

Forse proprio questo mondo mi risultava poco visibile qualche anno fa, quando, ascoltando musica indie tutto il giorno, con una buona dose di alterigia, dicevo: “Sanremo? Per carità…”. Però poi le cose cambiano: ieri sera, non solo ha vinto un cantante che nasce dalla musica indipendente, ma Francesco Gabbani (toscano, di Carrara) ha portato sul palco dell’Ariston una canzone che concretizza l’evoluzione del prodotto “Festival” in termini di fruibilità e capacità di riflettere la società contemporanea.

Da un paio di anni, infatti (ed è proprio da un paio di anni che mi sono riavvicinata al Festival), Sanremo ha saputo diventare un fenomeno social. È quasi impossibile guardarlo senza i commenti dei The Jackal o gli aggiornamenti di Twitter, corredati da irriverenti meme. Per me, in particolare, ma credo per molti altri, è diventato un momento di riunione virtuale con amici sparsi in mezzo mondo (sul serio). Solo ieri sera, è bastata mezz’ora di “silenzioso” per ritrovarmi con 147 messaggi nel gruppo di What’s up dei miei amici lontani (Ciao cervelletti <3).

E la canzone di Gabbani, in qualche modo parla anche di questo. Molti hanno trovato “Occidentali’s Karma” un brano troppo “originale” per la vetusta scena sanremese, altri affermano di non aver capito bene il testo, altri ancora esclamano: “evviva, un po’ di ritmo!”. Io personalmente trovo molto (MOLTO!) più bello il brano con cui Gabbani vinse lo scorso anno Sanremo Giovani, “Amen”, che, come molte canzoni dello scorso anno, mi è rimasto in testa. Credo che “Occidentali’s Karma” sia la versione più matura e sintetica della “poetica” (se possiamo chiamarla così) di questo giovane (se possiamo chiamarlo così) artista. Una critica sorridente e composta alla società, ma senza distacchi superbi: anche Gabbani sa bene di essere una scimmia nuda come noi, divisi fra una tendenza webete che attanaglia un po’ tutti e la ricerca di risposte che purtroppo spesso precipita in un intellettualismo spicciolo o filo-orientale.

Una cosa, poi, mi è piaciuta veramente tanto: il suo inchino a Fiorella Mannoia, che, pur non sapendo quanto sia stato dettato dalla drammaturgia della televisione o da un sentimento sincero, è stato comunque un bel gesto. Bella Fiorella, bellissima, una di quelle donne che diventa più luminosa invecchiando, e bella anche la sua canzone, ma gli inni alla vita sono qualcosa di più personale e più difficilmente possono diventare termometro (o anche #termostato XD) di una società intera.

E quindi, ballettiamo sui nostri difetti, e comunque vada “panta rei and singing in the rain”.

Valentina

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