uRadio verso gli Oscar 2017: la magia e l’arte di La La Land

Vincitore di 7 Golden Globe e del Premio del Pubblico al Toronto International Film Festival, con 14 candidature ai Premi Oscar 2017, dopo essere riuscito ad eguagliare il record di film come Eva contro Eva e Titanic, La La Land è divenuto subito uno dei film più apprezzati degli ultimi tempi. Tante sono state le parole spese nei confronti di questo musical fuori dalla realtà: le recensioni e i complimenti non si contano. Così, noi di uRadio, abbiamo deciso di regalarvi “solo” alcune nostre impressioni, a volte leggermente discordanti, ma sempre pure e sincere come questa storia d’amore tra un musicista jazz e un’aspirante attrice.

Giada Coccia. Sembra che non si possa evitare di pensare che Emma Stone e Ryan Gosling siano formidabili in La La Land: belli, ben vestiti, divertenti, una grande chimica e, incredibilmente, ottimi ballerini e cantanti. Sono adorabili mentre cantano City of Stars, buffi mentre ballano A Lovely Night, magici nell’Epilogo. La loro eleganza retrò, accentuata da vestiti dalla linea senza tempo e dai balli da Classic Broadway, vuole trasportarci nel ’52 di Cantando sotto la pioggia, nel ’35 di Cappello a cilindro, nel ’61 di West Side Story. I due attori si muovono con stile e grazia, dimostrando competenza e impegno maturati nel breve e inatteso debutto di Emma Stone a Broadway con Cabaret e nel “segreto” passato da musicista di Ryan Gosling. Se la coppia ci fa sognare come duo amoroso e ci fa provare un’invidia viscerale per il loro portamento, se l’attorialità ci lascia a bocca aperta e la bravura non può essere contestata, il paragone ai grandi del genere sembra tuttavia fuori luogo. Per un film che aspira alla grandiosità e che vuole discutere il decadimento del jazz (e del musical) bisognerebbe additare la poca eccellenza che trasudano le performance fisiche degli attori. Quattro mesi di prove, l’abilità registica di Chazelle e la bellezza indiscussa della coppia non possono nascondere una sostanziale differenza tra questi bravi esecutori e dei veri ballerini o cantanti e sarebbe scorretto non ricordare che Gene Kelly (a cui è stato paragonato Gosling) e Ginger Rogers (a cui è stata paragonata la Stone) erano spesso anche coreografi nei loro film, oltre che esecutori. I corpi di Ryan ed Emma emanano perfezione nella loro sola presenza scenica, tipica delle icone, ma la loro costante malinconia impedisce un tasporto totale nella briosità dei pezzi, rendendoli tuttavia riconoscibili nella loro incertezza. La loro limitazione vocale è ben nascosta, ma le canzoni che ricordiamo a giorni di distanza non sono quelle cantate da loro, dettaglio non trascurabile (tanto da non farli cantare neanche agli Oscar). La patina di moderata modernità retrò che il film mantiene fino alla fine lo ha già reso un pezzo di culto, ma per quanto riguarda il destino del genere, il musical rimane in mano agli attori senza volto dello sfondo. Mia canta ‘So bring on the rebels’, ma non vediamo alcun ribelle, alcun diverso, alcuno specialista, non vediamo chi porta avanti l’arte, chi balla, canta e recita da tutta la vita rimanendo dietro la tenda di Cantando sotto la pioggia. La La Land vuole infatti raccontare la storia di Kathy, portata alla fine sul palcoscenico come protagonista da Don, ma l’impressione che abbiamo è di vedere soltanto Lina e ci chiediamo: perchè non c’è la vera Kathy?


Nicola Carmignani. Chazelle sfronda il musical della patina frivola che spesso lo affligge attraverso l’uso estensivo dei piani-sequenza, che amplificano la percezione di ciò che è rappresentato come reale, piuttosto che come artificioso: La La Land è coloratissima realtà che ribolle, talvolta sogno accecante, mai messinscena posticcia. Nulla di nuovo per quanto riguarda il soggetto, ma lo straordinario lavoro tecnico, le prove attoriali e i venti raffinatissimi minuti finali – vista anche la travolgente chiusura del precedente “Whiplash” possiamo tranquillamente cominciare a parlare di climax “alla Chazelle” – colmano egregiamente questa unica lacuna. Un film del quale godere con gli occhi e al quale affidarsi emotivamente, lasciando per una volta a casa l’animo materialista a vantaggio di quello più smaccatamente romantico.


Valentina Carbonara. Può piacere a chi ama il rinnovamento e non piacere a chi è più affezionato al musical tradizionale. Ma, poiché non sono una intenditrice, molto soggettivamente darei un 8/10 a questo coloratissimo prodotto cinematografico, che ammicca ai grandi del passato, con una buona dose di licenze personali. Se un giorno dimenticheremo i protagonisti della storia, ci ricorderemo però del sole e delle stelle, il grande filo conduttore della vicenda. Il film si apre proprio con il tripudio danzereccio di “Another day of sun”, colmo di promesse e successo, e si chiude con “City of Stars” e l’intimo interrogativo che tutte quelle stelle non siano un’esclusiva romantica di Mia e Sebastian. E quando cala il sipario sulla loro storia d’amore, i giovani sono sulla collina dell’Osservatorio Griffith, reso già celebre in “Gioventù bruciata”: ma questa volta è giorno e le stelle non si vedono più, il walzer romantico fra le costellazioni è un ricordo crepuscolare. È un altro giorno di sole, ma è una vittoria? Forse è questa l’innovazione più importante di Chazelle: porre un interrogativo al pubblico, che non si aspettava questo da un “musical”.


Rossella Mestice. Qualcuno, tempo fa, in virtù di ragioni ben lontane da quelle che spingono me all’associazione di pensieri, scriveva e cantava “una storia comune per gente speciale”. La La Land in fondo è questo: nulla di meno prevedibile di una storia d’amore tra un musicista squattrinato e un’aspirante attrice che, come il copione ancestrale della favola richiede, rincorrono la loro idea di felicità scontrandosi sia con la rassegnazione che con la loro stessa determinazione. Eppure, è arte, pura arte, proprio perché ci fa ancora meravigliare di quello che normalmente appare consueto, dell’abitudine banale ma non scontata di poter vivere sotto un cielo stellato e, guardandolo, sentirlo proprio. 
Damien Chazelle ci prende per mano, facendosi strada tra vestiti svolazzanti e melodie jazz, per portarci nel mondo incantato della vita reale e indicarci la danza dei sogni, quei sogni che abbiamo riposto in angoli reconditi a soffocare nella polvere dell’insicurezza, della quotidianità distraente, della forzata utopia. La grande, lapidaria, verità che La La Land ci rammenda, in sostanza, è: dalle cose piccole, nascono quelle grandi. Siamo in una Los Angeles qualunque con le macchine d’epoca, il caffè e le insegne a neon, ma è la vita dei giovani sognatori di tutto il mondo ad essere inscenata in modo colorato, travolgente, drammatico per certi versi, così autentico che l’immedesimazione è una naturale conseguenza. Un amore che non scende a patti con la vita, quello per la musica e la recitazione; un amore spezzato dalla maturata consapevolezza che il successo non ammette compromessi, quello tra i protagonisti. “Una storia sbagliata” che ha sprigionato il suo senso più profondo nel momento della separazione, restituendo ad entrambi la gioia di ricostruire se stessi dalle ceneri di una fine, molto dolce, ma pur sempre fine.

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