Il Premio Gran Guinigi prende il nome dall’omonima torre lucchese e viene assegnato dal 1967 ai migliori prodotti del settore editoriale fumettistico nel contesto del Lucca Comics & Games. Da qualche anno, una menzione speciale va anche al miglior stand tra le autoproduzioni, presenti dal 2006 nel padiglione, ad ingresso gratuito, della SelfArea (anglicismo che rende più incisivo il senso di ‘self’, di autonomia e di solitudine, ndr). In questo spazio espositivo troviamo alcune realtà che si sono già affermate nel settore e che nulla hanno da invidiare alle tradizionali case editrici per validità artistica e organizzazione editoriale, come Delebile, l’ormai affermata Mammaiuto e il colosso della cultura popolare Orgoglio Nerd. Quest’anno (2016) il premio è stato assegnato al collettivo bolognese Manticora Autoproduzioni, attivo dal 2012, già con sette albi alle spalle (Sindrome, Tenebre, Instrumenta, Spine, Feral Children, Der Krampus e Le Piccole Morti). Degli originali otto fondatori studenti delle Belle arti di Bologna ne sono rimasti quattro, avendo perso qualcuno per strada come Francesco De Stena, ora adottato dalla Bonelli (ci assicurano però che “si vogliono ancora tutti bene“, ndr). Attualmente, quindi, ci sono: Flavia Biondi, Anna Ferrari, Lorenza De Luca e Ivan Lodi. Dal 2014, poi, si è aggiunto anche Brian Freschi, il loro primo sceneggiatore ufficiale.
I manticorini, già vincitori del premio alla migliore autoproduzione del Treviso Comic Book Festival di quest’anno, hanno presentato in quest’edizione del Lucca Comics il piccante calendario 2017, Maison LàLà. Li abbiamo incontrati al loro stand nella SelfArea, quest’anno spostato nella suggestiva chiesa dei Servi, sede negli anni passati di conferenze e mostre di grandi autori, pescando tra loro due logorroici e balbettanti con cui parlare: la fiorentina Flavia Biondi, in arte Nathanielle, che oltre a collaborare con Manticora ha pubblicato in proprio per Renbooks (L’orgoglio di Leone, Barba di Perle e L’importante è finire) e Bao Publishing (La generazione) e lo sceneggiatore cesenate Brian Freschi, da poco uscito dalla Scuola Internazionale di Comics di Firenze e da una collaborazione con la rivista l’Inquieto.
Brian e Flavia, quali sono le vostre impressioni sul premio appena vinto?
F: Siamo molto soddisfatti e incoraggiati a fare l’anno prossimo un figurone, cercheremo d’impegnarci al massimo.
B: Abbiamo la strada spianata, quindi sta solo a noi spezzarci le ossa.
A proposito d’impegno, l’espressione “giovane collettivo”, a volte, potrebbe risultare riduttiva; spesso si confonde la giovane età con la poca professionalità e si giudica con poca esperienza chi, come voi, s’impegna in un lavoro spesso più serio di quanto si pensi. Qual è la vostra idea a riguardo?
F: Sicuramente, quando abbiamo iniziato, d’esperienza ce n’era pochissima, sia come autoproduzione, sia a livello professionale. Sono cinque anni che Manticora esiste e resiste e sia io che lui (Brian, ndr) ora collaboriamo con Bao Publishing. L’autoproduzione è piacevole per cominciare, ma è anche un qualcosa che offre la possibilità di fare tantissime esperienze e provare anche il lavoro dell’editore stesso. Neanche io amo tanto la parola “i giovani autoprodotti” o “le promesse per il futuro” perché molti in realtà stanno già pubblicando con altri editori.
B: Poi spesso capita anche che all’interno di collettivi arrivino autori che hanno già pubblicato in passato e che hanno già un bel carico d’esperienza. Ad esempio Giulio Macaione ha pubblicato con Bao e ora si è messo in proprio per produrre un suo fumetto. “Giovane collettivo” è un po’ generalistico, sicuramente.
Si legge nel sito ufficiale del Lucca Comics 2013 che l’autoproduzione ha i “propri spazi per potersi esprimere, un suo spirito di fresca ricerca espressiva, slegata da regole e influenze e totalmente libera dai canoni codificati dell’editoria mainstream”. Voi stessi scrivete sul vostro sito che pescate “a piene mani nell’immaginario weird e popolare”: confermate, così, di essere lontani dal mercato tradizionale?
F: Noi spesso affrontiamo temi al di fuori del mercato tipico dell’editoria. Ci piace fare delle storie un po’ folli, quasi fuori di testa e in questo senso si potrebbe dire che sono lontane dal mercato, ma penso anche che tantissime pubblicazioni della SelfArea non ne siano fuori. Sicuramene ci sono molte cose che non sarebbero adatte ad un grande pubblico, che non attirerebbero una grandissima quantità di vendite e alcuni editori non danno spazio, non si sbilanciano verso certi progetti un po’ sperimentali, magari con la paura di non trovare un riscontro immediato. Nell’autoproduzione c’è la possibilità di dire proviamo noi per primi ad esporci; infatti capita spesso che produzioni fatte in maniera indipendente, una volta consolidato che l’interesse c’è, vengano poi proposte e visionate da editori, passando successivamente ad un’etichetta ufficiale.
B: Infatti la SelfArea è tenuta molto d’occhio dalle case editrici. Ci sono editori che girano, vagano per la SelfArea e spesso acquistano anche dei prodotti che magari loro, di base, non pubblicherebbero, però intanto spulciano e vedono se c’è qualche autore emergente o qualcuno d’interessante che possono mettere sotto contratto per qualcosa di diverso.
Quindi è un modo di far sperimentare gli altri senza doverci investire!
F: Esatto. Inoltre una differenza è che spesso le produzioni della SelfArea sono ontologiche, ovvero sono albi che contengono storie brevi, che hanno meno spazio nell’editoria tradizionale. Essendo opere finanziate attraverso investimenti personali, molti autori non possono permettersi 200 pagine a colori. Magari vogliono provare a farsi notare esprimendo un’idea in una storia di 20 pagine che può facilmente trovare posto in una raccolta ontologica autoprodotta che, poi, diventa un bel libro, ma anche una bella vetrina per chi tenta di far sentire la propria voce.
In queste autoproduzioni quanto è alto il rischio di diventare autoreferenziali, avendo questa libertà totale che un editore non può dare?
F: Secondo me è cosa buona e giusta cambiare sempre, cercare di sperimentare un po’. Anche noi con Manticora abbiamo avuto una piccola fase di “chiusura”, eravamo sempre i soliti autori e avevamo un tipo di libro che producevamo, un “prodotto tipico”. Invece con l’arrivo di Brian e con i nuovi progetti in corso stiamo cominciando a variare un po’ di più, a sbilanciarci, abbassando sicuramente il rischio di fare un prodotto sempre simile.
B: Però il timbro Manticora rimane quello, chi ci conosce sa che non troverà storie di coniglietti allegri…
Sempre riguardo i canoni, per te Brian la sceneggiatura ha un legame con i modelli della letteratura canonica o ne è slegata?
B: Ci sono tantissimi sceneggiatori che leggono solo fumetti per fare fumetti, io sono nell’altro estremo: penso che leggerne troppi tende a influenzarti in modo negativo spesso e volentieri. E’ bene andare a cercare influenze in altri campi come cinema, musica, letteratura, per il semplice fatto che offrono una serie d’informazioni chiare, dettagliate, che un fumetto non riesce a dare.
Prima dell’arrivo di Brian eravate solo illustratori. Come è stato l’approccio con un testo dato da uno specialista?
F: In Le Piccole Morti ho avuto per la prima volta uno sceneggiatore. Io ho sempre lavorato come autrice unica sia durante gli studi sia poi con Renbooks e Bao Publishing, perchè, asocialità a parte, mi piace avere il controllo totale della cosa che sto facendo. Manticora infatti per me è stata un’occasione per sperimentare una formula diversa, qualcosa che non avrei fatto da sola. Brian ha fatto una cosa che non mi aspettavo, è stata un’esperienza divertente e istruttiva che lui si è divertito sadicamente a farmi fare. Forse il risultato su carta potrebbe apparire un po’ traballante in quanto esperienza nuova, ma ho imparato più da quelle 15 pagine sulle quali abbiamo collaborato che da 100 pagine solo mie.
Voi avete parlato del (di)segno pensato come segno, perchè le immagini narrano, il segno racconta. Qual è il rapporto con la parola scritta, se il segno è spesso completo da solo?
F: Spesso e volentieri il primo approccio con un fumetto è visivo, la prima cosa che noti è il segno. Ogni autore ha un segno differente: può essere grottesco, forte, incisivo, oppure delicato, una linea sottile come quella di una nostra autrice, Anna, la quale ha una matita talmente pulita che le è valsa il soprannome di Epson, nel senso che stampa; io vado giù d’inchiostro a pennellate quasi avessi il Parkinson. Il primo approccio visivo per un lettore è quindi il disegno, ma la storia è essenziale: non esisterebbe nulla senza testo. Sono convinta che scrivere una storia sia un mestiere specifico, molti disegnatori danno per scontato di saperlo fare perchè conoscono il linguaggio del fumetto e quindi riescono a raccontare, però una penna ben istruita fa sicuramente la differenza.
Rapporto con il Web: voi vendete fisicamente in libreria (a Bologna e Empoli) e ovviamente sul vostro sito. Passerete anche agli e-book?
F: Attualmente non abbiamo la versione digitale dei nostri volumi, ma è una cosa che vogliamo fare a breve. Stampiamo circa 500 copie cartacee dei nostri lavori e quando si esauriscono non sempre abbiamo la possibilità di ristamparle: ad esempio, quattro volumi del catalogo sono esauriti per cui, di quelli, vorremmo fare una versione e-book. I primissimi vorremmo metterli a disposizione in maniera gratuita perché noi per primi siamo cresciuti e guardiamo a quel lavoro con nostalgia, consapevoli del fatto che non ci rappresenti più. Ci farebbe piacere che fosse letto, sfogliato, comunque.
Avete qualcosa in progettazione?
F: L’idea è di fare un volume ontologico, con storie brevi, ma questa volta vorremmo coinvolgere più persone. Dobbiamo ancora decidere su cosa, come e quanto sarà pazzo! Sicuramente qualcuno verrà torturato da Brian.
Giada Coccia