Alla fine della strada: incontro con Timothy Allen

La rassegna di eventi che festeggiano il decimo anno di attività della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena è giunta all’incontro, tenutosi ieri 28 ottobre, con un artista di rilevanza internazionale. Riassumere in poche parole la personalità e il lavoro del fotografo e filmmaker Timothy Allen è impresa ardua: lui stesso durante l’incontro con il pubblico della Sala Storica della Biblioteca fatica a contenere la profusione di aneddoti, immagini e riflessioni accumulate in vent’anni di carriera. Un percorso lungo e variamente articolato tra giornalismo ed arte, tra immagini statiche e riprese, tra le ombre della guerra incombenti sul ventunesimo secolo e l’isolamento ieratico delle località più remote. Una storia che i visitatori potranno rivivere fino al 30 novembre in via della Sapienza 3, dove l’antica Casa della Sapienza accoglie End of the road, un’accurata selezione delle immagini raccolte da Allen in giro per il mondo, esposta nel contesto del festival Siena Art Photo Travel, iniziativa curata da Luca Venturi.

Pic: Copyright Timothy Allen http://www.humanplanet.com

Pic: Copyright Timothy Allen http://www.humanplanet.com

Dopo le presentazioni dello stesso Venturi e del Direttore della Biblioteca Comunale Luciano Borghi, a prendere la parola è stato il pluripremiato Travel Photographer inglese, la cui presentazione, articolata in sequenze narrative, ha intrattenuto, divertito e stimolato l’uditorio. Allen ha introdotto il suo itinerario artistico come la linea che unisce due punti esemplificabili in due immagini concrete. La prima, scattata nel marzo del 1995, ritrae i funerali del gangster “Ronnie” Kray e venne scattata con una fotocamera professonale da Allen per il quotidiano The Independent; la seconda, risalente all’anno scorso, offre il primo piano di un abitante della Mongolia ed è stata realizzata con un apparecchio portatile ed immediatamente condivisa in rete. La differenza tra i contesti, i soggetti, le finalità e le tecniche impiegate per lo scatto e la diffusione delle due fotografie restituisce la misura dei cambiamenti affrontati da Allen nel rapporto con il suo mestiere e con il mondo che ci circonda. A colmare le distanze tra questi due momenti della sua carriera, un’esperienza suddivisibile in tre fasi nettamente distinguibili l’una dall’altra.

L’esordio di questo cammino risale ai sette anni da fotoreporter professionista che, soprattutto dopo il trauma collettivo e professionale dell’undici settembre, gradualmente abbandona cronaca e attualità a favore di un interesse per le notizie – e quindi delle immagini – più curiose e imprevedibili: risalgono a questa fase i servizi su matrimoni surrealisti e campionati di tassidermia, inesauribili fonti di divertenti aneddoti. Il primo grande cambiamento della sua vita artistica non avviene, però, quando, in un momento di profonda crisi interiore, abbandona il mondo del giornalismo professionale e si avventura in un viaggio in moto verso Thimphu, capitale del Bhutan e prima tappa della sua esplorazione di un anno tra le zone meridionali dell’Asia e le regioni settentrionali dell’India. I mesi vissuti a contatto con la società matrilineare dei Khasi, in Megahalaya, da lui documentati in un blog, costituiranno, infatti, il punto di partenza per la decisiva svolta nella sua carriera: è proprio sulla base di questa esperienza che Allen viene coinvolto dalla BBC nella realizzazione di Human Planet, serie di documentari che esplora i vari esiti dell’incontro dell’uomo con la natura e con le sue risorse ed asperità.

Pic: Copyright Timothy Allen http://www.humanplanet.com

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Human Planet costituisce per molti versi l’attuale traguardo del suo percorso artistico, la migliore occasione di ampliamento dei suoi orizzonti in molteplici direzioni. La fotografia di Allen diventa non solo immagine in movimento per la televisione, ma ha la possibilità di esplorare la pesca sui fondali marini delle Isole Filippine, le biciclette – dimenticate fuori casa per una notte e incastrate nel ghiaccio per mesi -dei bambini della Groenlandia, il singolare sfoggio di virilità della tribù africana dei Wodaabe durante il corteggiamento rituale chiamato Gerewol. Questa varietà di ambientazioni trova, però, un minimo comune denominatore nella ricerca del suo peculiare punto di vista sulla realtà, da lui sintetizzato nell’espressione “intimate and epic”: un ossimoro solo apparente, in quanto risultato del suo intimo coinvolgimento emotivo di osservatore partecipe dell’ininterrotta ed epica avventura dell’animale uomo sulla Terra. Lo sguardo del fotografo sembrerebbe quindi proiettato verso l’esplorazione di orizzonti sempre più lontani ma il suo servizio più recente fornisce una visione inedita anche di questo tema.

Le qualità di storyteller di Allen sono infatti confermate dalle immagini conclusive della sua presentazione, alle quali spetta il compito di giustificare il titolo della mostra End of the road. Il principale insegnamento che l’artista sta ricavando dalla sua esperienza televisiva riguarda l’importanza prioritaria della storia e dei personaggi, alla ricerca di una fotografia fondata sui soggetti più che sui paesaggi o sulla personalizzazione dei paesaggi da parte di soggetti singoli o collettivi. L’ultimo personaggio di questa galleria si chiama Emma Orbach, vive una vita isolata dai mezzi di comunicazione e centrata sul contatto con la natura in una foresta del Galles, a meno di due ore dall’attuale residenza di Allen, ed è il soggetto di una delle foto di maggior successo dell’autore. La ricerca della propria cifra artistica si conclude quasi in casa propria: il viaggio rivela il proprio senso non soltanto nell’empatia con popolazioni da lui distanti e distinte ma anche nel ritrovare l’epicità dell’incontro tra l’uomo e la natura in un soggetto con cui si condividono lingua, terra, tradizioni.

Le conseguenze a lungo termine di questa nuova consapevolezza sono tutte da scoprire. Quel che è certo è che “la fine della strada” è soltanto una sosta precedente a nuove partenze, come lo stesso Allen ci rivela rispondendo alle nostre domande.

 

Pic: Copyright Timothy Allen http://www.humanplanet.com

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Mr. Allen, il recente episodio dell’arresto di Sharbat Gula, la celebre Ragazza Afgana ritratta da Steve McCurry – artista che come lei ha fatto del viaggio e dell’incontro con lo straniero uno stile di vita e una cifra espressiva – spinge a riflettere sulla relazione tra il fotografo e i suoi soggetti, soprattutto nel caso di più incontri avvenuti a distanza di tempo. Lei ha avuto esperienze simili?

Mi viene in mente l’esempio della popolazione Khasi di cui ho parlato prima. Ho trascorso molto tempo con loro e alcuni capi villaggio mi hanno chiesto come aumentare l’afflusso di turisti nelle loro zone. Io diedi loro i miei consigli su cosa fare in quella direzione ma non potei fare a meno di chiedere se davvero lo volessero, perché sono consapevole della differenza tra quei contesti e le dinamiche del turismo internazionale. Loro confermarono la richiesta, così noi girammo il documentario e milioni di persone lo guardarono, aumentando i miei sospetti di aver esagerato nel divulgare l’esistenza e le caratteristiche di quei luoghi. Mi sentii in colpa e decisi di ritornare a distanza di circa sei mesi dalla messa in onda del programma. Ma lì, precisamente nel villaggio di Mawlynnong, accadde qualcosa di interessante e in un certo senso ironico: trovai il villaggio molto cambiato ma non a causa del nostro documentario. Al posto delle migliaia di visitatori stranieri che mi aspettavo, trovai centinaia di turisti indiani, dalle zone limitrofe: conseguenza non delle nostre riprese, ma di una spontanea tendenza della middle class indiana ad esplorare il loro stesso Paese. Ma il cambiamento, rispetto a quanto avevo visto durante il primo viaggio, era comunque avvenuto. Non saprei dire se in meglio o in peggio: ad un certo livello, ritengo che quando ci si apre a nuove realtà precedentemente ignote il cambiamento sia inevitabile. È una delle caratteristiche fondamentali della natura umana, è sempre stato e sempre sarà così. Definirla come negativa o positiva dipende dal punto di vista: io come osservatore posso anche dispiacermi per la perdità di alcuni tratti culturali tra due luoghi in precedenza isolati, ma per gli abitanti del luogo, che attraverso quella strada magari ottengono medicine e mezzi che prima erano loro preclusi, la prospettiva è tutt’altra. Spesso l’aspetto “idilliaco” di certe culture indigene è solo apparente, percepito dal visitatore esterno ma non da chi ne fa parte.

In quanto fotografo e regista, cosa ne pensa de Il sale della Terra, il documentario di Wim Wenders su Sebastiao Salgado? Le piacerebbe, oltre a girarlo, diventare il soggetto di un film del genere?

Non ho visto Il sale della Terra, ma sto per avere un’esperienza simile tra un mese! Sto per girare l’episodio pilota di una serie che mi vedrà visitare i luoghi più estremi del pianeta: i più torridi, i più freddi, i più umidi e così via. Questo primo episodio sarà ambientato in Siberia, dove rimarrò per tre settimane. Farò comunque il fotografo, ma la serie mi vedrà soprattutto come un personaggio, tratterà le mie interazioni con questi scenari.

Se il tema principale del suo lavoro è l’interazione tra Uomo e Ambiente, avrà notato come a Siena questo rapporto si articoli soprattutto lungo un asse cronologico: gli abitanti hanno sempre tentato di conciliare il presente con il passato e la loro relazione con la città mira al mantenimento delle forme architettoniche tradizionali per le quali è famosa nel mondo. Qual è il suo punto di vista su questo aspetto? Siena potrebbe essere uno dei suoi soggetti?

É esattamente quello che ho notato al mio arrivo. Già la vista mattutina dalla finestra della mia stanza di albergo, accompagnata dal suono delle campane, potrebbe benissimo appartenere al quindicesimo secolo: una sensazione travolgente. Siena è una delle città che più mi fanno percepire il passato come qualcosa di vitale e la passione dei suoi stessi abitanti per questo aspetto mi trasmette molta energia e vigore. Infatti, ad agosto tornerò per documentare il Palio: abbiamo ricevuto talmente tanti inviti e promesse di poter riprendere praticamente ogni aspetto della manifestazione che era impossibile rifiutare. Quindi non mancheremo.

 

Santo Cardella

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