Voce potente dal vago gusto retrò, sonorità tenui che quando meno te lo aspetti crescono, crescono e quasi ti spaventano, testi cosparsi di parole concrete che, come se contenessero una strana polvere magica, immediatamente regalano istantanee cariche di sensazioni e riflessioni sul presente e sul passato di ognuno di noi.
Questo e molto altro è quello che potete trovare ascoltando Gli Elefanti, primo album di Calvino, al secolo Niccolò Lavelli, uscito lo scorso 7 Maggio per l’etichetta Dischi Mancini. E con lui abbiamo parlato proprio di questi elefanti, che in equilibrio sopra il filo dei pensieri, fanno acrobazie mortali, camminando al bordo delle tangenziali, grandi come gli autobus. Buona Lettura!
Come mai ti chiami Calvino?
Devo dire che questa domanda riesce a mettermi ogni volta in difficoltà. Innanzitutto ho deciso di utilizzare uno pseudonimo per uscire dallo schema del classico nome e cognome, diciamo che la cosa mi sarebbe andata un po’ stretta. Così facendo questo progetto può partire sì come un progetto cantautorale, ma al tempo stesso può liberamente diventare qualcos’altro in futuro. Per quanto riguarda la scelta di questo pseudonimo nello specifico, non ha la pretesa di volersi riferire necessariamente a Italo. L’ho scelto per numerosi motivi, che manifestatisi tutti insieme nello stesso momento, mi hanno reso consapevole di non poter scegliere diversamente: è stata più una sorta di intuizione che una scelta a tavolino. Calvino non è per me un nome a caso, ma mi piace pensare che ognuno possa vederci ciò che vuole e giocarci come vuole, e non soffermarsi troppo su quelle che possono essere le mie motivazioni.
Puoi parlarmi un po’ della tua “storia musicale”?
Ho iniziato a suonare il pianoforte quando ero abbastanza piccolo, ma già da prima avevo iniziato ad appassionarmi alla musica ed alla canzone italiana: mi ricordo che alle elementari avevo una maestra che ci faceva ascoltare e cantare i pezzi di Jannacci, Pino Daniele, De André … ho portato con me questa passione negli anni fino a quando, diventato più grandicello, ho iniziato a capire che mi piaceva più scriverle queste canzoni, e alla fine mi sono reso conto che proprio l’atto dello scriverle in sé era una cosa che mi serviva sempre di più. Per questo quando avevo circa vent’anni ho iniziato a girare con pianoforte e voce proponendo ciò che scrivevo, poi ho pubblicato due EP e finalmente adesso è arrivato il disco.
Che intendi quando dici che era una cosa che ti serviva?
Che era, ed è, una cosa che mi aiutava a rimettere insieme dei pezzi. A un certo punto della mia vita ho sentito chiaramente il bisogno di sedermi in silenzio davanti al pianoforte e provare a tirar fuori cose che non so bene come mi venivano o da dove mi venivano ma in qualche modo acquistavano un senso, e così facendo riuscivano a darmi soddisfazione. Non sempre le cose che si scrivono hanno senso, ma quando accade, mi sembra proprio che riescano a spiegarmi qualcosa che prima non riuscivo a capire. E proprio in quel momento decido di provare a portar fuori quella canzone e in questo modo farla sentire anche agli altri.
Ho letto da qualche parte che durante un tuo recente viaggio in India è nata in te l’idea di fare questo disco: puoi raccontarmi qualcosa in più?
In realtà posso dire che durante quel viaggio sono riuscito a trovare il filo conduttore del disco: alcuni pezzi c’erano già, così come c’era già l’idea di fare il disco, ma in India è emersa proprio l’intuizione degli Elefanti. Se mi chiedi “perché proprio gli elefanti”, posso darti varie spiegazioni in merito. In generale mi sono reso conto che gli elefanti potevano rappresentare il fulcro di tutto il disco, che in modo anche un po’ retrospettivo tratta dell’infanzia, o meglio del modo di vedere l’infanzia con gli occhi di un presunto adulto che in realtà … non è molto cresciuto come adulto! Gli elefanti da bambini ci appaiono come animali grandi, un po’ ingombranti a dire la verità, per me sono un po’ la rappresentazione della vita adulta … poi però quando si cresce ci si accorge che gli elefanti, e quindi lo stesso mondo degli adulti, sono un po’ diversi. Uno dei significati che attribuisco agli Elefanti è proprio questo (che per me si ritrova in tutto il disco), quindi diciamo che durante il viaggio in India posso dire di aver capito il senso che questo avrebbe avuto.
Avrei voluto proprio chiederti una spiegazione in merito al titolo del disco, quindi posso dire che mi hai anticipato …
Ma se parliamo della canzone (contenuta nel disco, Ndr) gli Elefanti hanno un altro senso ancora: rappresentano tutte quelle cose ingombranti che a un certo punto finiscono per diventare una cosa che ti fa ridere dall’esasperazione a cui ti portano. Parlando più in generale gli Elefanti rappresentano anche la mia voglia di essere propositivo in questo momento, di far vedere ciò che faccio e poter dire: QUESTO È CIÒ CHE FACCIO. A volte può risultare goffo o grosso, ma è ciò che è. È un elefante, lo vedi per forza e quindi adesso vi faccio ascoltare la mia musica!
Parlando del tema dell’infanzia, mi viene in mente un’altra canzone contenuta nel disco che si intitola Gli Astronauti: a un certo punto dici – ma il ritorno alle origini non è un’impresa da uomo, l’uomo guarda avanti mentre l’astronauta guarda nel vuoto. – Puoi parlarmene?
Il testo de Gli Astronauti vuol parlare proprio di quello che ci si aspettava di diventare da piccoli, e di quello che poi siamo diventati da grandi. Prendendo come pretesto una domanda, e cioè – perché i bambini vogliono sempre fare gli astronauti? – La risposta che mi sono dato è che in quel modo sono comunque più vicini al nero che esiste prima di nascere che a quello che si trova dopo che si muore. Per forza i bambini sono così attratti dal vuoto. Questo tipo di attrazione va a perdersi sempre di più man mano che si cresce, finiamo per dimenticarcene dovendo sempre e soltanto guardare avanti, proprio come dice il verso che mi hai citato. Quello di cui parlo è anche un po’ una volontà di provare a smettere di voler dare un senso a tutto, perché magari un senso per tutto semplicemente non c’è. La canzone se vuoi è anche un po’ angosciante, o almeno così l’ho vissuta mentre la scrivevo, rappresenta per me una sorta di bilico tra l’angoscia e il sollievo.
Per produrre il disco ti sei servito di una strumentazione vintage, senza fare un eccessivo ricorso alla tecnologia: come mai questa scelta?
La strumentazione vintage è una particolarità del posto in cui abbiamo registrato, ovvero il Blend Noise Studio di Federico Bortoletto, che è anche il ragazzo dell’etichetta con cui abbiamo prodotto il disco, la Dischi Mancini. Federico ha lavorato per diversi anni negli Stati Uniti; una volta tornato ha voluto farsi uno studio proprio come voleva lui, e cioè uno studio in si potesse sfruttare a pieno la sua passione per la strumentazione analogica. È un tipo di sonorità che avevo già utilizzato per l’EP che è uscito l’anno scorso (Occhi pieni occhi vuoti, Ndr) e che mi è piaciuto fin da subito; per questo ho deciso di utilizzarlo di nuovo, anche per dare continuità al percorso intrapreso. E poi quel luogo ha proprio quei suoni lì, e questo disco è nato nel modo in cui è nato proprio perché ha visto la luce in quello studio, ed era importante farlo sapere.
Chi suona insieme a te?
Insieme a me suonano Tommaso Spinelli al basso, Federico Branca alla batteria e percussioni e Marco Giacomini alla chitarra. Con questo disco sono finalmente passato ad avere una band completa e ne sono contento. Con loro ci divertiamo davvero, abbiamo suonato live lo scorso 14 Maggio all’Oibò di Milano per presentare il disco e adesso non vediamo l’ora di iniziare a girare un po’!
Parlando di live, so che hai suonato insieme ad altri esponenti della scena indipendente italiana, come ad esempio Brunori o Di Martino. Con chi sogni di collaborare? Puoi anche sognare in grande, eh …
Eh ma se ci penso e sogno in grande, poi mi viene voglia ma ci rimango male perché non è possibile! Comunque parlando di artisti italiani, a me piace tantissimo Edda, sono andato a tutti concerti che ha fatto a Milano, e sono felice ogni volta che lo ascolto. Un altro che mi piace particolarmente è Iosonouncane. Secondo me entrambi fanno cose ammirabili, al di là del ritorno di pubblico che possono avere, mi piacciono davvero tanto e non posso aver altro da dire!
Se ancora non conoscete Calvino e la sua musica, vi proponiamo L’amaro in Bocca , primo singolo estratto da “Gli Elefanti”. Per seguirlo in tour, che gli auguriamo sia il più lungo possibile e che soprattutto faccia tappa in Toscana, invece basta cliccare qui.
Alice Masoni