IL RACCONTO DEI RACCONTI – IN BILICO FRA FIABA E REALTA'

A partire da tre fiabe contenute ne “Il cunto de li cunti”, raccolta di Giambattista Basile, si articola Il Racconto Dei Racconti, ultimo lavoro di Matteo Garrone uscito da qualche settimana nelle sale.

Tenute insieme da un montaggio che di volta in volta ci consente di seguirle alternativamente, le tre vicende trattano storie legate fra loro da tematiche perfettamente garroniane quali il desiderio, l’ossessione e l’implacabile brama di possesso: nella prima, una regina impossibilitata a diventare madre accetta la proposta fattagli da uno stregone per poter conseguire il suo obiettivo; nella seconda, un re si trova a dover gestire un insolito animale da compagnia essendo nel frattempo alle prese con una figlia desiderosa di trovare marito; nella terza, un re erotomane ode la voce di una vecchia e se ne invaghisce credendola una giovane donzella perfetta per diventare la sua nuova conquista.

Le favole sono solo apparentemente un terreno nuovo da esplorare per il regista, dal momento che sono molteplici i tratti che facevano de L’imbalsamatore, così come di Primo Amore delle fiabe dalle tinte oscure e macabre e di Reality un meraviglioso congegno sospeso fra il sogno utopico del protagonista e la nuda e cruda realtà.

Questo perfetto equilibrio fra le fantasie e i desideri dei protagonisti e l’austerità degli ambienti e dei contesti, così come lo stile a tratti documentaristico conferito da una macchina da presa indagatrice ma allo stesso tempo neutra e dal piglio discreto, erano ciò che caratterizzavano i film più famosi del cineasta romano.
Questa volta tuttavia, Garrone si è trovato a gestire una produzione dai costi più elevati che vede la collaborazione di Italia, Francia e Gran Bretagna, cosa che lo ha messo inevitabilmente di fronte al rischio concreto del passo falso, facilmente percorribile quando si concede troppo alla spettacolarizzazione e ai preziosismi sfarzosi propri del genere fantastico, a discapito magari della riconoscibilità delle suddette tracce stilistiche ben identificabili nei lavori precedenti. Nella preparazione del suo Racconto Dei Racconti Garrone deve essersi tuttavia curato ben poco di questi poco auguranti presentimenti, concentrato una volta di più nel consegnarci un film che ne ribadisse lo status di autore cinematografico ingegnoso, capace e per di più in ottima forma dopo il successo di Gomorra (2008) e del già citato Reality (2012).

 

Che quest’ultimo lavoro costituisca il tentativo di fare un film che possa abbracciare un pubblico più ampio non è un mistero: Garrone si è dichiarato infatti poco interessato ai premi del Festival di Cannes all’interno del quale il film è stato presentato, dicendosi più interessato ad un riconoscimento popolare.

Le decisioni riguardanti il cast internazionale (Vincent Cassel e Salma Hayek i nomi di maggior rilievo), la scelta della lingua inglese e più in generale il comparto tecnico e i collaboratori illustri (da segnalare Alexandre Desplat alla colonna sonora, fresco Oscar per Grand Budapest Hotel) sono quindi finalizzate ad ottenere un’ampia fruizione più che da necessità artistiche, ma dall’altra parte la sagacia che Garrone dimostra nel maneggiare con cura i mezzi a disposizione consente al Racconto Dei Racconti di non perdersi nei labirinti di questi regni fantastici, conferendo alla pellicola in questione il consueto approccio distaccato da analisi al microscopio proprio dei precedenti film.
Regni fantastici come detto, ma allo stesso tempo realistici: sebbene dalla solita miscela di generi il regista aderisca questa volta al fantasy con netta evidenza (non più solo, quindi, con dei rimandi e delle sottigliezze) e ciò possa farci credere ad un primo momento di essere di fronte a un oggetto non identificato nonché meno fine e più grossolano all’interno della filmografia del regista, quest’idea svanisce quando ci si rende conto che Il Racconto Dei Racconti non è affatto il comune e riciclato prodotto hollywoodiano afferente a questo genere, colmo fino all’orlo di prevedibilità e di cgi, ma bensì un esemplare a suo modo unico e coraggioso nell’offrirci un contesto fiabesco che però deve fare i conti con l’impossibilità di svincolarsi, per l’appunto, dalla realtà.

Ecco che quindi apprendiamo che le splendide location sono rigorosamente esistenti e per di più italiane (una citazione la meritano Castel Del Monte e Roccascalegna), ecco che diviene più evidente che le vicende che riguardano i personaggi e i loro desideri irrefrenabili afferiscono, grazie ad un carattere di doppiezza e di molteplice significato, ad un universo molto più stratificato e simile al nostro rispetto a quello del “tutti vissero felici e contenti”.

 

 

Piero Di Bucchianico

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