Il Fiabisfero, tappa 11: Grecia (antica)

Cari lettori del Fiabisfero, purtroppo, come sapete, tutti i viaggi hanno un inizio e una meta conclusiva, e la nostra rubrica non fa eccezione. Abbiamo scoperto l’identità culturale di molti paesi del mondo attraverso una prospettiva diversa, quella del fiabe, patrimonio spesso, e ingiustamente, relegato al mondo dell’infanzia, letteratura di passaggio verso la cosiddetta “età adulta”. Quello di oggi è il nostro penultimo appuntamento: la carovana arriverà a destinazione il 24 maggio, per poi salutarci e magari progettare il prossimo viaggio.

Ma non è adesso il tempo dei saluti. Il suolo che stiamo per calcare è quello della Grecia antica, per rendere un doveroso omaggio a Esopo, uno dei favolisti più grandi in assoluto, vissuto a cavallo tra il VII e il VI secolo a.C. Abbiamo selezionato quattro brevi fiabe (che rispecchiano perfettamente la struttura “canonica” del genere, di carattere didascalico e moraleggiante) per portarvi alla scoperta di un mondo ormai passato, ma di cui possiamo ancora respirare la grande eredità. Sedetevi accanto a noi e ascoltate.

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Illustrazione di Arthur Rackham per “Il topo di campagna e il topo di città”, altra celebre fiaba di Esopo

L’asino selvatico e l’asino domestico

C’era una volta un simpatico asinello selvatico che trascorreva le sue giornate in libertà, passeggiando per i campi e mangiando il cibo che trovava.
Durante uno dei suoi giri quotidiani ebbe modo di vedere un suo simile, dall’aspetto sano e robusto, che brucava l’erba in un grande prato cintato da un’alta staccionata di legno. Esso, osservando l’animale domestico, pensò: «Che bella vita! Lui sì che sta bene: è spensierato, senza problemi e con il cibo a volontà». In effetti l’asino sembrava proprio fortunato: gli venivano serviti due pasti abbondanti al giorno, riposava in una stalla bene attrezzata e aveva un pascolo meraviglioso a sua disposizione. L’asino selvatico, invece, doveva accontentarsi dei miseri sterpi che riusciva a trovare ai margini della strada, perché i prati ricoperti di erbetta fresca erano tutti privati. Ogni tanto, il povero asinello appoggiava il muso sulla cima della staccionata e, guardando l’altro, lo invidiava da morire.
Un giorno, però, il giovane asinello, girovagando tranquillo, incontrò sulla via un animale talmente sovraccarico di legna, sacchi di grano e altro da non essere in grado di capire di che bestia si trattasse. Quando questa, per reagire a una violenta frustata del suo padrone, tirò un calcio e alzò il muso, lo riconobbe: era l’asino domestico che fino a quel giorno aveva tanto invidiato! «Eh, caro mio», gli gridò affiancandosi a lui, «a questo prezzo non farei mai cambio con te. Nessuno mi comanda, io sono libero e leggero come una libellula. Se poi non mangio bene come te, meglio, mi mantengo in linea. E per sopravvivere mi arrangio».
Dopo quell’incontro l’asino selvatico non provò più alcuna invidia per il suo simile.

L’avaro

Un avaro aveva liquidato tutto il suo patrimonio e l’aveva convertito in una verga d’oro; poi l’aveva sotterrato in un certo luogo, sotterrandoci insieme la sua vita e il suo cuore, e tutti i giorni andava a farci un’ispezione.
Un operaio lo tenne d’occhio, subodorando la verità, andò a scavare e si portò via la verga. Dopo un po’ arrivò anche l’avaro e, trovando la sua buca vuota, cominciò a piangere e a strapparsi i capelli. Ma un tale, che l’aveva visto lamentarsi così dolorosamente, quando ne seppe la ragione gli disse: «Non disperarti così, mio caro; tanto, oro non ne avevi nemmeno quando lo possedevi. Prendi una pietra, mettila al suo posto, e immagina di avere il tuo oro: ti farà lo stesso servizio; perché vedo bene che, anche quando il tuo oro era là, tu non ne facevi nulla».
La favola mostra che nulla vale possedere una cosa senza goderla.

I viandanti e l’orso

Due amici viaggiavano insieme, quand’ecco apparire davanti a essi un orso. Uno, più svelto, salì su un albero e vi restò nascosto, mentre l’altro, che già stava per esser preso, si gettò al suolo, fingendo d’esser morto. L’orso gli avvicinò il muso, annusandolo, ed egli tratteneva il respiro perché, a quel che dicono, l’orso non tocca i cadaveri.
Quando l’orso si fu allontanato, quello che era sull’albero discese e chiese all’altro che cosa gli avesse detto nell’orecchio l’orso. «Di non viaggiar mai più con dei compagni che nel pericolo non restano al tuo fianco», gli rispose quello.
La favola mostra che le disgrazie mettono alla prova la bontà degli amici.

Il pipistrello, il rovo e il gabbiano

Il pipistrello, il rovo e il gabbiano in una splendida illustrazione di Emily Poole

Molto tempo fa, un pipistrello, un rovo e un gabbiano si riunirono in un isolotto per formare una strana società commerciale fondata sulla vendita di stoffe e di rame. Il rovo possedeva una buona quantità di lana, seta e cotone procurate grazie al duro lavoro dei suoi antenati. Egli aveva conservato i suoi averi nell’attesa di una buona occasione per poterli rivendere. Il pipistrello, essendo il più abile dei tre negli affari, si prodigò per procurare il denaro necessario per l’acquisto di una buona imbarcazione sulla quale trasportare il materiale fino al continente. Per riuscirvi fece parecchi debiti con degli strozzini ai quali avrebbe dovuto restituire il doppio dei soldi prestati. Comunque, con il discreto gruzzoletto che ebbe a disposizione egli comprò una piccola barca a remi. Il gabbiano invece aveva adocchiato un buon quantitativo di rame abbandonato da qualche mercante. Munitosi di pazienza recuperò tutto quel tesoro che sarebbe servito per la loro società.
Giunse infine il gran giorno. I tre avevano caricato ogni cosa sulla barchetta ed erano ormai pronti per partire. «Speriamo che questa barca sia abbastanza robusta!», disse il gabbiano, preoccupato. «Se il tempo si manterrà calmo andrà tutto benissimo», rispose il pipistrello.
Finalmente gli amici si imbarcarono e partirono. Ma durante la sera, un terribile temporale fece ribollire le acque del mare le cui onde gigantesche inghiottirono senza pietà la piccola barca. I tre compagni, fortunatamente, si salvarono, perdendo però ogni cosa.
Da quel giorno il pipistrello, incapace di ripagare i debiti, uscì solo di notte per evitare di incontrare gli strozzini che volevano indietro il loro denaro; il gabbiano imparò a rimanere appollaiato sopra scogli marini nella speranza che le acque gli restituissero il suo rame; infine, il rovo aguzzò le sue spine strappando i vestiti dei passanti, nell’attesa di ricostruire, con i brandelli procurati, il suo prezioso patrimonio di stoffe ormai perdute.

Ivan Bececco

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Bibliografia
Masaracchio, S. (a cura di). Esopo. Favole. http://bachecaebookgratis.blogspot.it/, 2010. PDF.

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