Bentornati al nostro appuntamento settimanale con Quattroequaranta, la cui autrice giovedì e venerdì è passata all’azione. Già, perché non si può parlare di musica, qualunque genere essa sia, senza andare a sentirla dal vivo. Soprattutto quando si parla di un concerto della stagione concertistica Micat in Vertice dell’Accademia Chigiana, giunta alla novantaquattresima edizione.
“Cioè, facci capire: sei andata a un concerto durato due giorni?”, vi starete chiedendo. Bene, la risposta è sì: non potevo assolutamente perdermi l’integrale delle opere per pianoforte di Maurice Ravel (Ciboure, Bassi Pirenei, 1875 – Parigi, 1937), eseguite dal pianista Roberto Cominati.
Prima di parlare del concerto però facciamo uno, anzi due passi indietro. Innanzitutto parliamo dell’Accademia Musicale Chigiana: è stata fondata il 22 novembre (giorno di santa Cecilia, patrona della musica, ndr) del 1923 dal mecenate conte Guido Chigi Saracini nel suo palazzo di via di Città, con lo scopo di fornire corsi di perfezionamento per i musicisti e i cantanti classici. Il nome della rassegna, Micat in Vertice, viene dal motto della famiglia Chigi e significa “splende sulla cima”.
Roberto Cominati, invece, nasce a Napoli il 17 novembre 1969 e inizia lo studio del pianoforte giovanissimo. Vincitore del primo premio al Concorso internazionale Alfredo Casella di Napoli (1991), si impone sulla scena musicale vincendo il primo premio al prestigiosissimo concorso Ferruccio Busoni di Bolzano (1993). La sua attività concertistica vanta collaborazioni con le maggiori istituzioni italiane e una serie di concerti tenuti in Europa, Americhe e Asia. E’ anche pilota di aerei di linea, pensate un po’.
Ci voleva un grande interprete di Ravel, come lo è appunto Cominati, per poter omaggiare al meglio l’ottantesimo anniversario della scomparsa del compositore francese. Il programma, intenso e ben strutturato, si divideva appunto in due concerti: nella prima sera erano in programma i Miroirs, la Sonatina, i Jeaux d’eau, i Valses nobles et sentimentales e infine La Valse; durante la seconda invece sono stati eseguiti il Menuet antique, la celeberrima e controversa Pavane pour une infante défunte, il Gaspard de la Nuit, il Menuet sur le nom de Haydn, il Prélude, l’À la manière de Borodine, l’À la manière de Chabrier e, infine, Le tombeau de Couperin. Questa volta non ci sarà bisogno di ascoltare un brano, ma vi consiglio caldamente di dare un’o(re)cchiata a La Valse (su Spotify o su YouTube, qui eseguita da Cominati) e alla Pavane (Spotify o YouTube).
La meraviglia ci assale, ancora prima che cominci il concerto, entrando nella sala: splendidi stucchi di stampo settecentesco fanno da cornice ad una sala elegantissima, dalla volta finemente affrescata; il pianoforte si trova su una pedana in legno, in mezzo a due statue femminili, una coperta e l’altra svestita. Sembra di essere veramente tornati indietro di duecento anni. Il concerto si apre con i Miroirs di stampo fauve, pittoreschi e inquietanti allo stesso tempo, che evocano un mondo di folletti a tratti demoniaco. La Sonatina è in netto distacco, con la sua forma quasi (e sottolineo quasi) tradizionale con sprazzi di eccentricità e dissonanze; i Jeaux d’eau ci riportano indietro in un vorticare indistinto di suoni che richiamano in modo preciso le gocce d’acqua di una fontana, o di una cascata. La pazzia estatica aumenta nei Valses e culmina nel mefistofelico La valse, carico di follia nascosta sotto una maschera neutra e quasi borghese (rappresentata dal valzer continuamente accennato). La magistrale interpretazione di Cominati strabilia il pubblico, che a gran voce chiede un bis, e poi un altro, e lui esegue prima il famosissimo Au claire de la lune di Debussy e una trascrizione di Lascia ch’io pianga dal Rinaldo di Haendel (che, se volete, potete ascoltare qui interpretato da Cominati stesso, o qui: io ero quasi in lacrime, tanta era la bellezza).
I brani del secondo concerto guardavano maggiormente verso il passato: il Menuet antique, ad esempio, presenta chiari riferimenti allo schema classico del minuetto, benché ci sia una bella alternanza di piano e forte e il finale sia completamente non convenzionale. La Pavane risulta non banale, benché sia famosissima: la dolcezza del ricordo ci pervade e ci lascia senza fiato. Il vero pezzo forte della serata è il Gaspard de la Nuit, dove la classicità lascia il posto al delirio. Il pianista, impassibile, ci trascina in un viaggio senza meta e senza speranza in un mondo allucinato popolato di creature grottesche. Le numerose difficoltà tecniche vengono superate senza battere ciglio, e la musicalità del brano viene espressa perfettamente. Il Menuet sur le nom de Haydn riprende nuovamente l’idea classica, calcando quasi completamente lo stile di Haydn.
Dopo un rapidissimo ed etereo Prelude, simile al battito d’ali di una farfalla, seguono due pezzi calcati uno su Borodin e l’altro su Chabrier: il primo sembra uno sberleffo, il secondo è invece estremamente cantabile. Il concerto finisce quindi con Le tombeau de Couperin, dove abbiamo una sintesi dei due caratteri principali dell’opera di Ravel, ovvero l’avere lo sguardo rivolto al passato e al presente e il ricercare un realismo estremo, ai confini del mondo esperibile. Il brano, infatti, inizia come un pezzo settecentesco e finisce in una cacofonia assordante di suoni concordi nella loro assonanza.
Il prossimo appuntamento con la Chigiana è il 16 dicembre alle 21 con Cesare Mancini, che eseguirà all’organo brani di Rinck, Reger, Franck, Ives e Holst nella splendida cornice della Cattedrale. Ma noi ci ritroveremo tra una settimana.
Federica Pisacane