Intervista a SIMMEL e le paranoie della vita cittadina.

Gentili lettori, benvenuti nella nuova sotto-rubrica tri-settimanale di recensione libri, nella quale mi propongo di trattare ed esporre il pensiero di sociologi rilevanti. Il tutto in maniera accessibile, semplice e ironica (o almeno si spera). Volta per volta cercherò di adottare dei format tanto “simpatici” quanto “sperimentali”. In questa puntata, il sociologo a cavallo fra Ottocento e Novecento Simmel si ritrova alle prese con un intervistatore un po’… “rustico”. Godetevelo.

LEMMIS: Ben trovato, Mister Simmel. Sociologo, filosofo, a tratti psicologo… ma si possono influenzare queste discipline? E un uomo solo è abbastanza per contenerle tutte?

SimmelSIMMEL: Salve a tutti. Beh, prima di tutto si devono influenzare. Se si vuol capire come funziona la società, che è fatta da miriadi di individui, non si può non capire, o almeno tentare di capire, il singolo individuo. E poi, sulla filosofia, che dirle… la verità è che tutti, anche chi non ne ha mai sentito parlare, segue una certa filosofia di vita, agisce con una certa coerenza… e tale convinzione influenza la psiche, che a sua volta influenza la comunità. Non c’è uno senza tre, insomma.

LEMMIS: Nei suoi libri parla tanto male della città. Io sono nato e cresciuto in campagna: sopravvivevo guardando le pecore per non farmele rubare, tutto il giorno. Se non andavo a messa o parlavo con una signorina il giorno dopo lo sapeva anche zio Peppe il mugnaio, che c’ha novant’anni suonati ed è mezzo sordo. Si viveva di bisogno, vergogna, paura dell’esclusione. Ora che mi sono trasferito in città… beh, non lo rimpiango.

SIMMEL: Prima di tutto io non dico che la vita agreste sia “migliore” di quella metropolitana: i sociologi non danno giudizi di valore, siamo scienziati anche se non portiamo il camice (anche se ogni tanto ci scappa un giudizio di troppo…).
E poi non sono certo un nostalgico, di quelli che si stava meglio quando si stava peggio! Però…

LEMMIS: Però?

SIMMEL: Però, mio buon amico villan… ehm, mio buon amico, anche la grande città ha le sue grane. Se in campagna il controllo sociale è totale e genera repressioni psicologiche che sfociano in patologie, in città si vive l’incubo contrario: quello della libertà senza freni e senza limiti.
Non siamo abituati a tanta libertà, non solo non la sappiamo usare, non la vogliamo proprio!
Ci sentiamo spaesati se ci dicono: “ora che hai da mangiare e da dormire, fai quello che vuoi!’ e invece no …un corno!
Noi vogliamo consumare i giorni a lavorare, a faticare per trovare da mangiare e da dormire, altrimenti ci annoiamo a morte!
E poi la tragedia della solitudine e dell’individualismo… vivere a contatto con masse di persone di cui non si conosce nulla e non si può conoscere nulla, presi dalla frenesia e dalla velocità dei riti quotidiani: non è assolutamente naturale per l’uomo che, come diceva Aristotele, è animale sociale. Dove i rapporti qualitativi e affettivi spariscono per mancanza di possibilità e di tempo, come in città, rimangono solo i rapporti quantitativi: tutto diventa una “cosa”, gli altri diventano cose, noi stessi ci alieniamo e reifichiamo. Non per niente la depressione e i suicidi schizzano in alto in città.

LEMMIS: Ma noi in campagna strappavamo le ortiche con le mani, che ci mancava il ferro!

SIMMEL: Ancora una volta mi fraintende, mio buon amico plebe… ehm, mio buon amico, non ho certo detto che la città non abbia le sue qualità: godiamo di un benessere materiale e di una tecnologia mai visti prima. Ma ciò non significa essere felici!
Perché i bisogni umani veri, naturali, non riguardano l’abbuffarsi di cose che spesso poi buttiamo, per poi ricomprarle, dipendendo psicologicamente da questo circolo… questo si chiama “droga”, capisce?
L’uomo non è solo corpo! Ha bisogno di relazioni sincere, di realizzare se stesso come più può, di spiritualità… non è una bestia!

LEMMIS: Io so solo che non avevo mai visto 20 euro sani prima di venire in città.

Simmel
SIMMEL
: E non si accorge che il denaro nelle metropoli è la misura di tutto, anche di ciò che è immateriale, come i rapporti sociali, i valori, la dignità? Tutto si compra e tutto si vende, e chi ha un euro in più di lei può permettersi più valori e più dignità, e chi è molto più ricco di lei può comprare e rivendere quando vuole il suo cul… chiedo scusa.
La realtà è che, inconsciamente, questa vita ci disgusta: è per questo che non vediamo l’ora che finisca la giornata lavorativa, o la settimana, o la carriera, per andarcene in pensione o in vacanza da qualche parte. Vogliamo fuggire, e si fugge solo da ciò che non ci piace.
Se va bene fuggiamo nell’arte, nello sport, negli hobby, in qualcosa di costruttivo insomma, altrimenti… tutto pur di non vivere questa vita qua! Però, lei, amico, ha una gran fortuna.

LEMMIS: E cioè?

SIMMEL: Non è ancora “saturo”. La saturazione fisica e mentale è un brutto colpo per l’uomo, sa… non ne era abituato prima della città, non è mai stato così nella Storia: mai i nostri sensi e il nostro intelletto sono stati colpiti da un tale bombardamento di informazioni… l’unico modo per non impazzire, e dico proprio impazzire, perché si sa che noi uomini possiamo fare massimo una cosa per volta, era renderci immuni a qualsiasi stimolo.
Il nostro cervello, per non surriscaldarsi fino a esplodere, ha deciso di disinteressarsi, di essere indifferente, di abituarsi. Dopo tutto, l’adattamento è la punta di diamante dell’essere umano, no? Bene, ora una sparatoria potrebbe avvenire davanti a noi, il sangue potrebbe schizzarci negli occhi, e noi non sentiremmo né caldo né freddo.
Come se non stesse succedendo davvero. Io lo chiamo “blasè”. Moravia mi fregò l’idea e 50 anni dopo scrisse “Gli Indifferenti”. Io ero morto da un pezzo, sennò quante gliene avrei dette…

LEMMIS: Mah, questa cosa non è mica umana, mister Simmel!

SIMMEL: E’ la vita nella città a non essere umana, caro amico bifolc… caro amico.
Ed ora decida lei se proprio guardare le pecore era un così brutto mestiere.

Alessandro Maggetti

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