Lucani? Meglio basilichesi

Oggi mi occupo di una regione estremamente complessata per problemi lessicali legati al proprio autodefinirsi come popolo: la Basilicata.

Un esempio? Poniamo che un povero studente fuorisede lucano si imbatta al bar in un interlocutore un po’ ciuoto e inizi a parlarci. A un certo punto si arriva alla fatidica domanda: “e tu di dove sei?” a cui risponderà “io sono lucano…”.
A questo punto, prima che il nostro povero ragazzo possa rendersi conto del gravissimo errore commesso, nella mente dell’interlocutore si faranno strada le più ingegnose ed arzigogolate teorie sul senso recondito di tale parola: “sarà di Lucca? O forse è uno Stato africano di quelli piccolini… lo sapevo che dovevo studiare meglio geografia alle superiori e che sembrava troppo facile menzionare sempre la barbabietola da zucchero.”
Ma per sua fortuna l’informazione necessaria arriva da sé: “… della Basilicata, insomma”.
Ed è così che, sulle temibili note della famosissima scena della doccia in Psycho, arriva la più inaspettata e terribile delle risposte: “ah, sei basilichese!” (sentenza finale tratta da una storia vera).

Il malcapitato studente paga le caramelle a molla (gomme da masticare) e, con la prescia ‘ngul, se ne va in solenne silenzio. Purtroppo i cusci (tamarri) si trovano ovunque.

Generalmente non si parla tanto di dialetto lucano, quanto più di dialetto potentino, materano e così via, quindi sempre legato a una determinata zona. Nell’area del potentino il dialetto è molto simile al salernitano ed è caratterizzato soprattutto da vocali chiuse; nel materano si sentono, invece, gli influssi del barese; le zone più meridionali risentono del dialetto calabrese e alcuni paesi hanno persino parole che terminano in u, giusto per prendere qualcosa anche dal sardo. Ovviamente le differenze si percepiscono forti tra un paese e l’altro. Basti pensare che i potentini, per dire “c’è”, usano gnè (“si gnè gnè, si nun gnè nun gnè e si nun gnè u mettemm”), mentre gli abitanti dei paesi limitrofi dicono nghè e, dall’alto della loro elegante pronuncia, prendono in giro i potentini chiamandoli gnè gnè.

Tiens pressa? Tiens fam? Mangs lu baccalà cui paparul crusc? Bevs? No, non ho strani tic al dito. Questo è il “genitivo sassone” della zona di Episcopia, dove si usa aggiungere la “s” alla fine di ogni verbo alla seconda persona singolare.

I lucani hanno paesi abbandonati e paesi “che non si possono nominare” (Colobraro. L’ho scritto) da cui pare che J.K. Rowling abbia tratto ispirazione; inoltre, studi condotti da antropologi specializzati, ovvero nonni e bisnonni, hanno dimostrato che le origini dei potentini sono tutte da ricondurre a un unico paese madre, ovvero Avigliano…

Effèss, se non hanno fantasia! No, non sto offendendo nessuno: “effess” è come “ammazza” e “minchia”.

Uè, mi fra’ (tipico intercalare), può abbasta’.

 

Ilaria Borrelli

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