Intervista a Diodato – Una bellezza ritrovata

Dietro ad una canzone italiana degli anni ’60 si nascondono molte cose: c’è la poesia, ma ci sono anche antichi legami e retaggi che ci accomunano tutti, indistintamente, sebbene all’apparenza qualcuno di noi possa risultare completamente estraneo alle immagini e alle sonorità caratteristiche di quel mondo.

Una canzone degli anni ’60 non è altro che un insieme di versi ascoltati, spesso neppure con manifesta attenzione, per caso ma in modo costante, per tutta la nostra vita. Chiunque ha forse anche sbadatamente e ingenuamente canticchiato qualche parola di una canzone degli anni ’60, e ogni volta che l’ha fatto ha riportato in vita quel mondo che così tanto ci appartiene, ma che al tempo stesso tendiamo a dimenticare o a dare per scontato. È un mondo popolato da quelle che di frequente chiamiamo con sufficienza canzonette, ma che probabilmente riesce ad incarnare nella maniera più fedele possibile il nostro passato: cosa siamo stati e cosa di conseguenza siamo ancora adesso.

Questo è quello che ho pensato non appena mi sono avvicinata ad A Ritrovar Bellezza, disco uscito nell’ottobre dello scorso anno, nel quale Antonio Diodato ci ripropone una serie di brani, noti e meno noti, proprio risalenti a quel periodo magico e a volte considerato irripetibile, che corrisponde agli anni ’60 italiani.  È proprio questa consapevolezza che mi ha spinto a voler approfondire meglio il disco con il suo interprete, e ciò che segue è il frutto della nostra chiacchierata a riguardo.

 

A Ritrovar Bellezza nasce in seguito alla tua collaborazione, lo scorso anno, al programma di Rai Tre condotto da Fabio Fazio Che Tempo Che Fa. Puoi raccontarmi com’è nata quest’idea e come mai sono state scelte proprio canzoni appartenenti agli anni ’60?

Qualche tempo prima della mia partecipazione a Sanremo avevo dato vita, su Youtube e sugli altri social, a Verso Sanremo, un piccolo progetto che si componeva di una serie di brevi video girati per strada o in qualche locale, in cui cantavo canzoni famose del Festival. Dopo la manifestazione Fazio e gli altri autori hanno visto qualche video, e da lì è nata l’idea di presentare alcune di queste canzoni ogni domenica sera, in chiusura del programma, in collegamento da particolari luoghi di elevato valore artistico e culturale in diverse città italiane. Questo primo progetto si è trasformato poi in una riscoperta vera e propria della musica italiana di quel periodo.  La scelta di concentrarsi negli anni ’60 è motivata dalla volontà di volersi in questo modo concentrare anche su un’attitudine della musica italiana di quel tempo, e cioè su quella particolare leggerezza che la contraddistingueva, e che col tempo è andata forse a perdersi. In un periodo così pesante come quello che oggi viviamo ci interessava andare a recuperare qualcosa che in un certo senso andasse controcorrente. Ovviamente con leggerezza non voglio parlare di superficialità, ma di quell’assoluta semplicità che caratterizza la poesia, e che è in grado di parlare così bene dei sentimenti, e al tempo stesso di rendere grandi le canzoni. Forse nel tempo si è creato una sorta di fraintendimento nel parlare di musica leggera italiana: è andata sempre più ad affermarsi la tendenza a considerarla come qualcosa di poco conto, di leggero in questo senso. L’obiettivo di questo progetto è anche quello di sconfessare questo “malinteso”.

Credi che invece la musica dei giorni nostri abbia perso quest’attitudine alla leggerezza di cui parli?

Probabilmente l’Italia degli anni ’60 aveva un cuore diverso rispetto a quella di oggi. Forse da un punto di vista di sonorità qualcuno cerca di ritrovare quel periodo e quel modo di fare musica. Però ovviamente nei testi non si può che ritrovare questo nostro presente, e probabilmente è anche giusto che sia così.

Tornando per un attimo alla tua partecipazione a Che Tempo Che Fa, qual è il luogo in cui ti è piaciuto di più esibirti?

Oltre a quello della prima puntata, ovvero Roma, che ricordo con una particolare emozione appunto perché rappresentava il mio esordio, mi è piaciuto tanto esibirmi nell’Auditorium Diocesano La Vallisa di Bari, dove si sono esibiti insieme a me anche Manuel Agnelli e Rodrigo d’Erasmo degli Afterhours.

Come ti sei approcciato ad interpretare queste canzoni? Ce n’è stata una o qualcuna che ti ha dato qualche “problema”?

Quella che mi ha dato forse qualche difficoltà in più è Arrivederci di Umberto Bindi. Dato che non la conoscevo ho dovuto studiarla approfonditamente per poterla cantare bene. Ma al tempo stesso rappresenta una delle canzoni di cui sono più soddisfatto, perché anche grazie a Roy Paci che me l’ha proposta, ho potuto scoprire il mondo di Bindi, un compositore di altissimo livello che purtroppo è stato accantonato con il passare degli anni. Nonostante le difficoltà e nonostante provenisse da un mondo molto lontano dal mio, sono stato molto felice di aver potuto cantare una sua canzone.

Infatti credo che un progetto del genere possa venire incontro alle nuove generazioni, permettendo loro di scoprire autori, compositori, in generale artisti di cui altrimenti probabilmente non avrebbero neppure mai sentito parlare … 

Sì, a questo proposito sto portando avanti anche un lavoro, una sorta di tour in giro per le scuole superiori italiane, durante il quale presento il mio disco. Parlare, discutere con i ragazzi che incontro di Bindi, Gaber, Tenco, Lauzi … credo sia molto importante: magari tra le migliaia di studenti che sto incontrando, qualche centinaio di loro si appassionerà alle nostre radici musicali e culturali. Il fatto che una mia interpretazione possa renderlo possibile è una cosa che mi rende estremamente felice. Probabilmente questi artisti meriterebbero anche di essere studiati a scuola: forse proprio la quasi impossibilità di esprimersi in un certo modo, che oggi sarebbe probabilmente più che naturale, ha permesso a questi autori di servirsi così bene della poesia per poter comunicare ciò che altrimenti sarebbe stato difficile da esternare. Proprio parlando con i ragazzi mi accorgo ogni volta dell’importanza che queste canzoni hanno avuto e continuano ancora ad avere. Basta pensare a che cos’era l’Italia in quel periodo: si insegnava addirittura l’italiano in televisione, pensa a quante persone, grazie alla musica, hanno imparato in un certo senso a parlare l’italiano. A pensarci adesso sembra quasi assurdo, ma all’epoca gran parte degli italiani non era neppure in grado di leggere e la problematica dell’alfabetizzazione stava iniziando ad assumere consistenza proprio in quel periodo. Anche da un punto di vista di identità italiana quelle canzoni hanno sicuramente contribuito a compattare un popolo che, nonostante formalmente fosse unito da già un centinaio d’anni, stava iniziando proprio in quel periodo a sentirsi veramente unico. La scelta di interpretare questi brani sta fondamentalmente proprio in questo: mi riescono a trasmettere un vero e proprio senso di identità che magari si stenta a ritrovare nei pezzi di oggi, ed è per questo motivo che credo sia importante continuare a tramandarli per ricordarci anche di come siamo stati capaci di fare cose molto belle. Sebbene fossimo usciti da poco da una guerra che ci aveva devastato da molti punti di vista, ciò che non mancava era il coraggio e la voglia di poter pronunciare la parola futuro, termine che invece oggi fatica a vedersi realizzato.

Tra gli autori di queste canzoni, ti sarebbe piaciuto duettare, magari anche virtualmente, con qualcuno di loro?

Sicuramente ti direi Domenico Modugno: per me rappresenta il vero spirito italiano. Basta pensare al suo sorriso, che sebbene fosse a volte malinconico, riusciva comunque a trasmettere la gioia di fare questo lavoro e l’attitudine tutta italiana di saper sempre sorridere nonostante le difficoltà, attitudine con la quale eravamo famosi anche all’estero. Tra i vivi mi piacerebbe poter duettare con Mina, interprete de La voce del silenzio che ho cantato insieme a Manuel Agnelli. Oltretutto ho avuto l’onore di ricevere i suoi complimenti dopo Sanremo: ovviamente ricevere i complimenti da una come lei è una cosa indescrivibile. E poi sono scritti, e come si dice verba volant, scripta manent!

Invece, esclusi gli autori delle canzoni presenti nel disco, con chi ti piacerebbe collaborare? Ho letto ad esempio che alla data di Roma del tour (il prossimo 15 aprile, Ndr) saranno presenti anche Rodrigo D’Erasmo e Manuel Agnelli, Roy Paci, ma anche Daniele Silvestri e Renzo Rubino …

Già aver collaborato con gli Afterhours e con Roy Paci per me è stato bello, sicuramente mi piacerebbe molto, oltre ad esibirmi con loro durante un live, poter condividere un progetto musicale anche con due artisti che stimo molto come Daniele e Renzo Rubino.

Ti piacerebbe fare invece un lavoro simile a quello di A Ritrovar Bellezza con canzoni non italiane?

Conosco probabilmente meglio e di più il mondo esterno a quello della musica italiana: da piccolo ho ascoltato tanto rock e pop inglese, partendo dai Pink Floyd e i Beatles, fino ad arrivare ai Radiohead e ai Verve. Il disco è stato proprio in questo senso una riscoperta – e da qui si spiega la scelta di intitolarlo A Ritrovar Bellezza – degli autori di casa nostra, che ho potuto in questo modo approfondire con una maggiore maturità.

In questo momento mi sto concentrando più sulle mie cose, ma in futuro perché no? Sicuramente mi piacerebbe anche affrontare un album-tributo a quel mondo musicale che è parte di me e che mi ha così tanto influenzato.

Quindi mi pare di capire che sei già a lavoro per un nuovo disco …  

Sì, sono ancora in fase di scrittura, ma abbiamo già fatto anche qualche provino con la band … spero di poterlo far uscire già quest’anno.

Solo poche settimane fa si è invece svolta la sessantacinquesima edizione del Festival di Sanremo: da vincitore uscente delle nuove proposte, cosa ne pensi di ciò che si è visto quest’anno?

A livello di ritmo  è stato un festival molto incisivo. Per quanto riguarda invece le canzoni, tra le Nuove Proposte mi è piaciuto lo stesso Caccamo  (vincitore della categoria ,Ndr) e ma anche Amara. Parlando dei Big il mio vincitore ideale sarebbe stato Nek, seguito da Malika.  Probabilmente è stato un festival le cui scelte artistiche sono state più televisive, rispetto ad esempio a quelli condotti da Fazio. Quello che mi convince meno è la concezione che si vuole presentare di nuova proposta, che continua ad esser valida soltanto per la sezione Giovani. Se fosse per me sarebbe auspicabile compiere un’operazione simile anche per la categoria dei Big, come infatti è stato fatto negli anni scorsi con artisti quali Marta sui Tubi o Riccardo Senigallia, che io ad esempio posso conoscere molto bene ma che mia madre ignora completamente. Sanremo è chiaramente un evento televisivo, ma potrebbe al tempo stesso orientarsi anche su scelte di stampo più culturale … magari gli addetti ai lavori potrebbero prendersi maggiori responsabilità in questo senso. Il discorso è molto ampio e in realtà vale per il mondo della comunicazione in generale in Italia: credo che i mass media abbiano grandissime responsabilità rispetto alla condizione di impoverimento culturale che il nostro paese sta vivendo.

Potete trovare qui l’esibizione di Diodato, in diretta dall’Auditorium Diocesano La Vallisa di Bari.

 

Alice Masoni

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