Murubutu, un mare di rap-conti

Confesso. A me l’hip hop non piace. Scusate per l’eresia – anche perché di questi tempi rischio di essere messo al rogo –, ma non riesco ad apprezzarlo fino in fondo. Ad ogni modo, accompagnato da questo mio pregiudizio musicale, mi avvio a passo felpato verso il teatro dei Rinnovati di Siena.

Per il terzo appuntamento della rassegna musicale “Rinnòvati Rinnovati” sono attesi sul palco Murubutu e la Kattiveria. Murubutu, al secolo Alessio Mariani, fonda il primo gruppo hip hop di Reggio Emilia, la Kattiveria appunto, per poi prendere la strada del ‹‹rap didattico››, più improntato allo storytelling. Arrivo un po’ in ritardo e noto subito tante facce pulite, probabilmente ragazzi delle superiori. Sul palco un pc, un telo nero e qualche spia. Niente di più.

Dopo circa mezz’ora d’attesa, salgono sul palco tre uomini vestiti di nero con la cravatta rossa. Tocca agli MC Tenente e U.G.O. scaldare il pubblico dei Rinnovati che, però, non è in grado di apprezzare le parole della canzone per via dei suoni un po’ confusi. Dopo il primo brano, entra sul palco Murubutu, faccia da cattivo e voce profonda da gangster anni trenta, che raccoglie gli appalusi dei presenti. Murubutu non è certo un rapper della prima ora, si nota dai suoi movimenti sul palco e dai solidi testi che, come spiegherà più avanti, ‹‹sono una maniera per cercare di raccontare e capire ciò che ci circonda››. Per fortuna il fonico aggiusta il tiro e le parole iniziano a distinguersi con chiarezza, permettendoci di apprezzare i racconti – o sarebbe meglio dire rap-conti – dell’artista emiliano. La prima parte del concerto è dedicata quasi completamente allo storytelling e vengono eseguiti numerosi brani tratti dall’album “Gli ammutinati del Bauncin”, l’ultima fatica del rapper. Con il ritmo delle sue rime, Murubutu ci mostra e ci racconta scorci di vita quotidiana, riuscendo a disegnare in pochi tratti (qui il maggior pregio dei suoi testi) l’identità dei personaggi che, dopo solo tre minuti di canzone, sembra di conoscere da sempre.

Il mare è una costante nell’ultimo lavoro dell’artista. Il viaggio come ‹‹una metafora della vita›› durante il quale è molto facile annegare. Murubutu ricorda in più di un’occasione i numerosi morti che stanno riempiendo il Mediterraneo, ahimè, trasformatosi in una tomba d’acqua. Sono storie raccolte sul territorio, ricordi di viaggio e studi, ‹‹il tutto sviluppato attraverso quella ragnatala di vincolo e libertà che è la scrittura in rima››.

Se la prima parte del concerto s’incentra sul racconto, la seconda è dedicata alla tecnica: due brani eseguiti senza base mandano in delirio il pubblico che chiede a gran voce il bis.

Molte la canzoni che mi ripropongo di ascoltare con calma per apprezzarne a pieno il testo. “Anna e Marzio”, “Le sirene”, “Marco gioca sott’acqua”, “Isola verde”  su tutte.

Sebbene a fine serata il mio pregiudizio sull’hip hop sia rimasto invariato, Murubutu ha saputo incuriosirmi, lasciandomi la voglia di approfondire un mondo a me sconosciuto.

 

Beniamino Valeriano

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