I Wolfmother tornano sulle scene. Sono passati quasi due anni dall’ultimo lavoro della band di Andrew Stockdale, quel New Crown che stupì negativamente un po’ tutti (qui la nostra recensione) per pochezza di idee e scarsa qualità della produzione. Ma, è bene ricordarlo, si trattava di un disco autoprodotto: il che di certo non spiega in toto il risultato ottenuto, ma è comunque un fattore da tener presente, soprattutto ora che è arrivato Victorious, quarto studio album del trio australiano. La curiosità che lo accompagnava era davvero tanta: i Wolfmother avranno ritrovato la “retta via”?
La prima cosa che si nota, ascoltando l’ultima uscita di Stockdale e soci, è la qualità del suono: fortunatamente, il livello è tornato quello dei tempi di Cosmic Egg, con strumenti che suonano potenti e ben definiti. Una produzione pienamente moderna, dunque, che segna un primo passo in avanti rispetto a New Crown. Dove però Victorious (è il caso di dirlo) trionfa nel confronto diretto col predecessore, è nelle canzoni. Ebbene sì, i Wolfmother non si sono scordati come si scrive bella musica, e quella contenuta nel loro quarto disco ne è la testimonianza.
Parliamo di un hard rock che richiama, più o meno esplicitamente, i grandi nomi del genere. Dai Rolling Stones ai Led Zeppelin, la band australiana non disdegna le citazioni: se cercate sonorità innovative e mai sentite prima, non è nei lavori dei Wolfmother che le troverete. È, però, vero che le partiture di Stockdale (autore di quasi tutti i pezzi del disco) colpiscono nel segno e coinvolgono dal primo ascolto: era questo il punto di forza dei primi due album del suo gruppo, che torna prepotentemente in Victorious. Le cose vengono messe in chiaro già dall’opener The Love That You Give, un pezzaccio rock che non può davvero lasciare indifferenti.
Ed infatti, il minimo comun denominatore delle canzoni che lo compongono può essere rintracciato nella grande attenzione alla melodia. Niente è lasciato al caso, da questo punto di vista: ogni brano presenta una linea, che sia generale o anche solo nel ritornello, davvero curata e in grado di imprimersi nella memoria dell’ascoltatore. Citiamo, come esempi di ciò, Baroness, dotata di un refrain davvero azzeccato, e la bucolica Pretty Peggy.
Anche Victorious può prestarsi al classico gioco della caccia alle citazioni, dato che, come accennato in precedenza, non mancano di certo. Si passa dalla beatlesiana Happy Face, agli echi dei Black Sabbath nel bridge della title-track, fino alla già citata Pretty Peggy, che non può non riportare alla mente le atmosfere di Fun. (soprattutto) e Mumford & Sons.
Victorious riporta dunque la band australiana ai livelli a cui ci aveva abituato: New Crown si conferma dunque un incidente di percorso, perché Andrew Stockdale ha ripreso a scrivere ottima musica, e questo ultimo disco lo conferma. Due anni fa, quando recensimmo il penultimo lavoro dei Wolfmother, ipotizzammo che il loro percorso potesse già essere arrivato alla fine: non siamo mai stati più felici di essere contraddetti.
Giacomo Piciollo
Prima di cominciare, siamo felici di comunicarvi che l'Università degli Studi di Siena metterà a…
Nel celebrare il mese delle donne, è imperativo riconoscere il contributo fondamentale del genere femminile…
Era il 18 giugno del 1943 quando a Bologna nacque Raffaella Maria Roberta Pelloni. La…
Quando si pensa alle invenzioni create e brevettate da donne, l'immaginario collettivo si figura quasi…
La dottoressa Rosalind Elsie Franklin, chimica e cristallografa, nasce il 25 luglio del 1920 a…
Ciao raghi, avevo detto che non ci saremmo più sentiti per questo Sanremo e invece...…