Attualità

Sguardi intimi sulla lotta contro la violenza di genere – le voci di Melania e Francesca

ATTENZIONE

I pensieri, le riflessioni e gli estratti riportati di seguito sono frutto del vissuto e delle opinioni personali dei/delle nostrə associatə e, pertanto, si intendono di natura individuale e riflettono esclusivamente il punto di vista dell’associatə in questione. L’associazione declina ogni responsabilità per eventuali incomprensioni derivanti da tali opinioni, che restano di esclusiva pertinenza dell’autore.


In acqua bollente

Le relazioni tossiche sono come una rana bollita.

Sembra bizzarra come affermazione, ma è esattamente così. Per chi non lo sapesse, mi riferisco all’esperimento della John Hopkins University in cui una rana buttata in una pentola di acqua bollente saltava via mettendosi in salvo, mentre una rana immersa in una pentola di acqua fredda messa sul fuoco a scaldare rimaneva lì fino alla morte.

Ed è esattamente così che funzionano le relazioni tossiche e violente: sono subdole, non te ne accorgi e, per quanto tu possa guardare le notizie di questi giorni e dire “a me non potrebbe mai capitare”, sappi che non è vero. Perché lo so? Perché sono stata una di loro, con l’unica differenza che ho avuto fortuna.

Aveva iniziato come il “bravo ragazzo” timido della nuova compagnia di amici. Mi chiese di uscire, accettai. Dopo una birra mi riaccompagnò a casa e pochi giorni dopo mi invitò ad una gita fuori porta con tutti i suoi amici, abbracci e strette di mano in pubblico, la giornata perfetta. I primi tempi erano un idillio, rotto nel momento in cui ebbi un lutto familiare che mi sconvolse particolarmente. Fu esattamente in quel momento (e me ne sono resa conto solo dopo diversi anni di terapia con una psicologa) che lui iniziò ad approfittarsi di me. Io ero vulnerabile, e lui approfittò di quella vulnerabilità.

Frequentavo l’università in un’altra città, lui abitava nel paese dei miei genitori, in cui tornavo tutti i weekend per star con lui e i suoi amici, allontanandomi dai miei. L’acqua della pentola aveva iniziato a scaldarsi. Lui era il mio primo ragazzo, dopotutto era più grande e più esperto di relazioni, non mi ponevo molte domande.

Nei momenti in cui eravamo soli, mi sentivo sempre in imbarazzo e in soggezione, dovevo compiacerlo e “meritarmi” di essere al suo fianco.

La temperatura dell’acqua iniziò a darmi fastidio quando, con l’arrivo dell’estate, lui mi disse che per quel weekend non era necessario tornassi, sarebbero venuti dei suoi amici da fuori città, tra cui anche la sua ex, e mi avvertiva del fatto che non poteva promettermi che con lei non sarebbe successo nulla, ma una volta andata via sarebbe tornato tutto come prima. Io rimasi agghiacciata da questa affermazione; iniziammo a litigare in macchina furiosamente. Lui per calmarmi iniziò ad accarezzarmi, a baciarmi e, nonostante io lo allontanassi, mi forzò ad avere un rapporto sessuale. Non lo denunciai, non lo dissi a nessuno. Dopotutto era normale, era il mio fidanzato, chi mi avrebbe mai creduta?

Quel fine settimana tornai a casa, e una sera uscii con alcune amiche, che non avevano mai visto di buon’occhio la mia relazione, ma non me lo avevano mai detto perché non volevano che perdessi fiducia in loro: mi avevano osservata da lontano per tutto quel tempo, vigilando su di me e aiutandomi nel momento del bisogno. Quella sera, fatalità, lo incontrammo in giro con i suoi amici da fuori città e io lo ignorai. Lui mi raggiunse in un locale affollato dicendomi che voleva parlarmi, risentito dal mio atteggiamento. Alla mia obiezione che quello non fosse il posto e il momento per parlare e che ci saremmo potuti vedere nei giorni successivi, iniziò a urlarmi addosso e a spintonarmi. Venni portata via in lacrime dalle mie amiche: non saltai fuori dalla pentola bollente, venni trascinata via di peso da loro. Non ci siamo mai più visti.

Io sono stata fortunata, ho avuto chi mi ha portato via da una situazione pericolosa, ho avuto la possibilità di allontanarmi fisicamente. Due anni dopo lui mi ricontattò, dicendomi che gli dispiaceva non ci sentissimo più perché con me stava bene e non aveva nulla nei miei confronti. Provai a spiegargli cosa provavo io nei suoi confronti, mi rispose che non era vero e che ero esagerata. Lo bloccai.

Tutt’ora, però, quando mi capita di vederlo comparire taggato in qualche foto di ex amici comuni, sento un brivido lungo la schiena e un vuoto alla bocca dello stomaco.

Melania Verde


Urla di libertà: un appello contro il femminicidio

La tragedia del femminicidio di Giulia richiama, ancora una volta, l’attenzione su una piaga sociale profondamente radicata. Quanto successo a lei, e a tutte le miriadi di donne negli anni, DEVE spingerci a esaminare le dinamiche della violenza di genere. È per questo che dobbiamo impegnarci attivamente nella costruzione di una società che promuova il rispetto reciproco, l’uguaglianza e la consapevolezza delle conseguenze devastanti di questa violenza gratuita.

È essenziale un approccio che coinvolga TUTTI e TUTTO: noi in primis, ma soprattutto istituzioni, educazione e media. Come è stato piu volte detto, la sensibilizzazione sulle questioni di genere DEVE iniziare nelle scuole. Le istituzioni DEVONO garantire un supporto adeguato alle vittime. Allo stesso tempo, i media DEVONO sapere di cosa stanno parlando, DEVONO essere educati a parlare di queste tragedie, in modo da eliminare tutti gli stereotipi dannosi che vengono fuori in ogni articolo o programma televisivo! Non sono mostri, non sono bravi ragazzi, non “bisogna vedere il motivo per cui l’ha fatto”… NO… sono uomini normalissimi, BRUTALI ASSASSINI e come tali devono essere trattati e MAI giustificati!

La lotta contro il femminicidio richiede un impegno collettivo. Se non iniziamo adesso, le prossime potremmo essere noi!

Sono incazzata… siamo incazzate… io dico BASTA! Basta specularci su! Basta farci politica! Pensate che la prossima potrebbe essere tua figlia, la tua fidanzata, tua sorella, tua moglie, tua cugina, tua cognata, la tua amica… diciamo BASTA insieme!

“Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero.
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia.
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata.
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli.
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata.
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola. Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.
Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.”
(Cristina Torres Cáceres)

Francesca Carriero

uRadio

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