Perfetti sconosciuti – Uno sguardo alla trasposizione teatrale

Le firma di Paolo Genovese alla regia ci dimostra perché Perfetti Sconosciuti diventerà storia del cinema italiano.

Intendiamoci, sarebbe alquanto superfluo analizzare la trama di Perfetti sconosciuti, opera che ha segnato l’immaginario collettivo di piccoli e grandi nel decennio scorso, dimostrando in modo lampante come un “film per tutti” si possa fare, e anche bene, senza scadere in boomerismi o gap generazionali di sorta.
La regia di Paolo Genovese non lascia adito a dubbi: per quanto la sala fosse stata piena, per quanto i biglietti fossero sold out da mesi, tutti sapevamo cosa avremmo visto. Tutti conoscevamo il materiale originale, e non vedevamo l’ora di viverlo in questa nuova versione, curiosi nello scoprire se ci sarebbe stato qualche guizzo inaspettato.

Vi anticiperò: no. L’opera è la medesima di quella proiettata nelle sale cinematografiche nel (lontano) 2016: stessi personaggi, stesse dinamiche, stessi tempi, stesse battute. Descritto in questo modo potrebbe sembrare una grossa pecca, ma se si tiene di conto la qualità del materiale originale, questa “nuova” ri-visione non può che far ridere ed emozionare come la prima volta.

Si impiega poco tempo ad adattarsi alle necessità di un palco teatrale, rispetto a un set cinematrografico. Con un solo colpo d’occhio abbiamo di fronte la totalità dello spazio su cui si muoveranno e intrecceranno i nostri personaggi, circondati da una scenografia d’alto livello e ricca di minuziosi dettagli.
Le diverse sequenze in cui pochi personaggi interagiscono alle spalle di altri sono studiate magistralmente; tutta la scena si oscura, gli attori fanno silenzio, e un faretto solitario illumina un angolo della scenografia.

Non ho avuto modo di assistere al film in sala, ma credo che l’esperienza non sarebbe stata lontana da quella vissuta sabato scorso. Ridere in compagnia di centinaia di spettatori consapevoli è stato prezioso, vera esperienza arricchente di questo spettacolo… Fino a metà.
Oltre, durante l’ultimo atto, Genovese ci mostra la chiave del suo successo: la gestione della comicità tagliente, che non smette di permeare le voci degli attori fino alla fine. Seppur giocando con il bilanciamento comico-drammatico, ho notato come le risate, tanto apprezzate inizialmente, non avessero termine con il cambio di direzione che l’opera aveva intrapeso nelle sue parti più dure. Parlare con drammaticità di divorzi, tradimenti e omofobia con una molteplicità di risate in sottofondo è stata un’esperienza… Catartica?

Nota di merito agli attori e alle attrici in scena. Non era semplice riuscere a reggere un ipotetico paragone con Marco Giallini, Giuseppe Battiston, Alba Rohrwacher e l’incredibile cast del film, ma in questo caso ci troviamo sullo stesso altissimo livello. Paolo Calabresi, Anna Ferzetti, Valeria Solarino e tutta la compagnia in pochissime scene riesce a sostituirsi ai volti presenti nei nostri ricordi, permettendoci d’immergerci in una sceneggiatura che funziona sempre, qualsiasi sia il media da cui la si fruisce.
Non a caso, stiamo comunque parlando del film con più remake della storia.

Marco Sipione

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