Parlare degli Eagles of Death Metal oggi non può non riportare la mente a quanto accaduto a Parigi il 13 novembre scorso: al Bataclan, teatro di uno degli attacchi terroristici, stava suonando proprio la band di Jesse Hughes e Josh Homme. La risonanza mediatica ottenuta dagli EoDM in questo periodo (in un modo tutt’altro che felice, purtroppo) ha portato anche a parecchi equivoci sulla natura del loro sound. Cercheremo, in questa recensione di Zipper Down, ultimo album del gruppo uscito all’inizio di ottobre, di fare chiarezza in merito a ciò, e anche di spiegare perché la musica di Hughes e Homme può essere considerata, oggi più che mai, un inno alla vita.
Gli Eagles of Death Metal non fanno death metal. È questo il grosso errore, provocato dal nome della band, che più volte ci è capitato di leggere sulle pagine di parecchie testate. Il genere che suonano questi due ragazzacci californiani è anzi assai lontano dal metallo più pesante e violento: parliamo di un garage rock scanzonato e senza fronzoli di sorta, e di testi inneggianti a sesso, alcool e bella vita. Appare tutto chiaro già dalla cover di questo Zipper Down; l’ascolto dell’opener Complexity, poi, fuga qualsiasi dubbio. Rock’n’roll melodico ed immediato, e delle lyrics che sono più una dichiarazione d’intenti: “it’s so easy, without complexity”, dunque dritti al punto.
C’è anche spazio per una cover, in particolare di Save a Prayer dei Duran Duran. Brani certo non memorabili, ma tutto sommato godibili e coinvolgenti, e questo è già un mezzo miracolo, considerando gli innumerevoli impegni di Homme (stretto tra Queens of The Stone Age e Them Crooked Vultures): il fatto che il buon Josh abbia ancora voglia e ispirazione per tirar fuori musica così è a dir poco lodevole.
Dicevamo, prima, dello spirito degli Eagles of Death Metal, quello spirito che si trova intatto in Zipper Down. Un disco coinvolgente e divertente, dall’inizio alla fine. Ed è proprio per questo che sono nati gli EoDM: per divertire e divertirsi. Ogni loro brano è un inno a godersi la vita, magari in maniere che molti riterranno discutibili, certo: ma innegabilmente, e unicamente, per questo. Il caso ha voluto che fossero loro a trovarsi sul palco del Bataclan, quando è esplosa la follia di quel 13 novembre. Si sono salvati, i ragazzi della band. Molti di quelli che erano tra il pubblico, invece, non ci sono riusciti. Spiegazioni per ciò che è successo ci sono, vanno trovate: ma la nostra natura di esseri umani vacilla, di fronte a eventi come questo. Io (ed uso la prima persona, perché credo fermamente in quello che sto per dire) voglio pensare che non sia stato un caso, che ci fossero proprio gli Eagles of Death Metal, su quel palco. Dei cantori del vivere spensierato, della gioia e della felicità contro la morte. E dalla morte sono scampati per miracolo, fuggendo quella notte dal Bataclan. Ma loro, al Bataclan, ci torneranno. In un’intervista, il bassista del tour Matt McJunkins ha dichiarato di voler essere la prima band che tornerà a suonare lì alla riapertura. Quando l’intervistatore gli ha chiesto il perché, Matt ha risposto: “Perché ero lì quando è calato il silenzio. I nostri amici sono venuti ad ascoltare il rock’n’roll e sono morti. Io voglio tornare lì e vivere.”
Giacomo Piciollo
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