#uMovie: THE IMITATION GAME

The Imitation Game, lungometraggio uscito nelle scorse settimane basato sulla vita del matematico inglese Alan Turing, è uno degli ultimi rappresentanti in ordine cronologico di un genere ad Hollywood piuttosto inflazionato: trattasi del film biografico, altrimenti detto biopic, quel genere di film che rievoca i trascorsi di personaggi realmente esistiti che nel loro campo di appartenenza (che sia esso quello sociale, culturale, politico ecc..) hanno lasciato un segno indelebile.

Turing è uno di questi: figura cardine e pioneristica dell’informatica nonché ideatore della macchina capace di decifrare i codici militari nazisti nel corso della seconda guerra mondiale, conduce un’esistenza breve ma intensa ed incredibilmente ricca di contributi accademici, alcuni fra i quali sono ritenuti fondamentali per lo sviluppo del computer e più in generale delle riflessioni sull’intelligenza artificiale.
L’estrema segretezza dell’operazione di crittoanalisi che Turing svolge durante la guerra per conto del governo britannico gli nega la fama e i giusti riconoscimenti, prima che una condanna per atti osceni dovuta alla sua omosessualità lo costringa a sottoporsi alla castrazione chimica per evitare la reclusione in prigione.
La depressione seguita all’umiliante trattamento precede il suicidio, avvenuto nel 1954 per avvelenamento da cianuro.

Giostrando un po’ confusionariamente con la narrazione fra tre momenti chiave della vita di Turing, rispettivamente quello dell’adolescenza, quello della decifrazione del codice e l’ultimo riguardante la condanna, The Imitation Game non sembra avere eccessive pretese se non quella di accrescere la popolarità del matematico inglese dando in pasto alla cerimonia degli Oscar un prodotto che tratti di un personaggio discusso smussandone tuttavia gli angoli e rendendolo più appetibile al grande pubblico.
Se altri risultavano troppo ambiziosi nella trasposizione di un personaggio controverso (viene in mente il J. Edgar Hoover di Eastwood), The Imitation Game non intende scavare fino in fondo ad esso denotando poca audacia, a partire dalle scelte di uno script che non soppesa equamente le tre diverse linee temporali concentrandosi fin troppo sul periodo di Turing a Bletchley, dove egli è impegnato col suo team nella decriptazione dei messaggi inviati dalle truppe tedesche.
Si dà quindi corda alla componente spionistica (poco azzeccata, nonostante le scenografie e la presenza degli attori Benedict Cumberbatch e Mark Strong ricordino quasi Thinker, Tailor, Soldier, Spy) ed ampio spazio alla costruzione di una macchina della quale sarebbe stato interessante capire meglio il funzionamento più che seguirne la lunga corsa contro il tempo.
Il delicato tema dell’omosessualità passa in secondo piano a causa della maggior cura riservata alla relazione con Joan Clarke (Keira Knightley) seppur gli esplicativi flashback adolescenziali risultino molto convincenti. Allo stesso modo, vengono solo abbozzate le illuminanti teorizzazioni di Turing (il test in particolare) e tutta la fase relativa alla sua condanna, la quale avrebbe necessitato di maggiore approfondimento.
La regia del semi-esordiente Morten Tyldum, elegante ma del tutto innocua (per non dire anonima), confeziona comunque un prodotto di buona fattura delegando i virtuosismi all’ottima recitazione di Cumberbatch, davvero molto bravo nonostante il suo Turing rimbalzi un po’ troppo spesso da John Nash a Sheldon Cooper.

The Imitation Game va dunque a collocarsi in un quadro che, come detto, vede nella proliferazione di film biografici una delle pratiche che vanno consolidandosi nel panorama cinematografico hollywoodiano, basti pensare alle uscite quasi contemporanee di altri tre biopic (American Sniper, La Teoria Del Tutto, Selma) con i quali condividerà il mese prossimo la corsa verso gli Oscar. Come per la maggior parte di queste produzioni, il film diretto da Tyldum risulta solo in parte efficace a restituire una figura complessa e sfaccettata come si presume sia stato Turing, accontentandosi di rientrare nel lungo elenco di film da cui era lecito aspettarsi di più.

Piero Di Bucchianico

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