Status Quo – Il Myanmar e i matrimoni che hanno cambiato un paese

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Vietnam, 1975

Se avete presente dove si trovano l’India e la Cina, non sarà per voi difficile ricordarvi che tra di loro, c’è una piccola penisola (una delle tante in quella zona), che a primo impatto, anche solo dal nome, vi può risultare totalmente insignificante: ebbene no, quella porzione di terra è il Myanmar, e da un mese, è devastato da un conflitto interno che non ha precedenti, di cui poco si parla, come sempre fieri che non ci riguardi.

CAPITOLO IV

La storia
Myanmar

Il Myanmar, forse più conosciuto come Birmania, fa parte di quell’insieme di paesi dell’area sud-orientale dell’Asia e tra tutti, è quello che più, insieme a pochi altri, ha risentito dell’era post-coloniale.

Dopo aver ottenuto l’indipendenza dagli inglesi nel 1948, ha avviato una breve fase di ripresa democratica, interrottasi drasticamente nel 1962, dopo un colpo di stato militare.

Il paese, ha vissuto anni durissimi dal ’62 ad oggi, ma, ciononostante, nel 2010 ha deciso di varare nuovi provvedimenti volti a migliorare le sorti di tutti, liberando perlomeno i prigionieri politici. Questo ha cambiato ben poco, e spesso nelle situazioni di gravità estrema, i gesti simbolici, sono solo una minima parte del cambiamento necessario, l’opinione pubblica è rimasta comunque fortemente soppressa, la democrazia sottomessa ad un esecutivo stagnante e l’economia drasticamente livellata a strati bassissimi (tra i più bassi di quell’intera area geografica, con uno dei PIL più instabili e in deficit al mondo).

Myanmar

Il colpo

Questo ci interessa particolarmente, perché lunedì 1 febbraio, proprio in questo paese, si è aperta una crisi di potere enorme, che ha preso le sorti di un colpo di stato a tutti gli effetti, con conseguenze immediate enormi.

Il primo atto di violenza e ribellione, è stata la rimozione ed incarcerazione della corrente capo di governo da parte delle forze armate del paese, oltreché capo del partito di maggioranza Aung San Suu Kyi, dichiarando lo stato di emergenza nel paese ed invadendo la capitale, interrompendo ogni trasmissione telefonica e radiofonica.  

Myanmar
La leader Birmana Aung San Suu Kyi

A guidare il golpe è stato il capo delle forze armate birmane, il generale che in seguito ha assunto il ruolo di capo del governo, mentre l’ex generale Myint Swe, che dal 2016 era uno dei due vicepresidenti, è stato nominato presidente ad interim. L’evento è iniziato il giorno in cui si doveva riunire il nuovo governo dopo le elezioni di novembre, che aveva visto vincente il partito storico, e perdente quello invece di rivoluzione, sostenuto proprio dai militari.

Il primo avviso è arrivato quando il capo delle forze armate ribelli, ha richiesto l’abolizione della costituzione, ma in pochi hanno creduto che il gesto potesse concretizzarsi in qualcosa di forza maggiore, sbagliandosi, solo pochi giorni dopo l’asse rivoluzionario, ha messo in atto un vero e proprio atto di sostituzione politica, rimuovendo i 24 ministri in carica, imprigionando chi di dovere ed instaurando un governo d’emergenza fino a nuove elezioni, in data “da definire”.

Myanmar

Golpe, Pro o Contro?

Il problema grosso di questo colpo di stato, è, che mentre generalmente un atto simile è frutto di un malessere popolare enorme, in Birmania la situazione era diversa, e per quanta insofferenza ci potesse essere verso le istituzioni decennali, la leader di governo corrente era una donna molto emancipata che, se anche faceva parte del partito politico storico, manteneva un buon equilibrio, avendo ella stessa promosso riforme economiche in fase di miglioramento e una più libera diffusione di dati, insieme a misure atte ad indirizzare il paese verso una strada, perlomeno migliore.

Il golpe è stato inaspettato e da molti, indesiderato, così tanto, che è stato subito contrastato dalle più grandi proteste interne, che preferivano una situazione statica, ma equilibrata, all’ennesimo momento di instaurazione politica militare incerta e incapace di fronteggiare i bisogni di tutti.

Myanmar

Le rivolte, Birmania e non solo

Chiunque è sceso in piazza, donne, uomini, bambini e anziani, e in tutti quei paesi dove c’erano immigrati originari del Myanmar, come il Giappone, hanno protestato (come a Tokyo) in masse davanti agli uffici di stato. Ovviamente nel paese del colpo, le risposte sono state altrettanto immediate e violente, con colpi di cannoni ad acqua o addirittura spari con proiettili di plastica, indirizzati ad altezza uomo, ma questo, non ha placato i rivoltosi, che anzi, si sono accaniti ancora di più, dopo che uno dell’esercito, sparando ad una donna, la colpisce uccidendola sul colpo. In piazza e nelle strade sono scese anche e soprattutto donne appena sposate, vestite con abiti da matrimonio e trainanti carri e cartelli di protesta urlando il grido di battaglia.

Myanmar

Problemi con i Diritti Umani, i Rohingya

La Birmania da anni, però, è immersa in un terribile scandalo legato alle minoranze etniche musulmane, in particolare nel caso della minoranza Rohingya.

Questi, sono una stirpe di musulmani probabilmente provenienti dal vicino Bangladesh, visti e trattati brutalmente dal governo e dalla cittadinanza: le condizioni di vita sono estreme: hanno un divieto di circolazione tra le aree cittadine e del paese, vengono avulsi da ogni forma di attività sociale e lavorativa, vivono di soli aiuti umanitari, spesso uccisi, linciati e massacrati (donne e bambini compresi).

I campi di accoglienza nei quali sono internati, li obbligano a convivere con una situazione sanitaria pressoché impensabile, frequenti stupri e sequestri si verificano all’interno di questi luoghi e la mancanza di ogni riconoscimento politico (data la non cittadinanza, status a loro impostogli), fa di questa etnia, non solo una massa di persone apolidi, ma anche, e soprattutto, gli ultimi ancora una volta, di una scala sociale crudele ed infima.

Alcuni prigionieri Rohingya

Myanmar

Risolvere o no?

Con le ultime elezioni del 2015 e la salita al potere del Premio Nobel Aung San Suu Kyi, si pensava che le cose sarebbero cambiate, invece no, la strada di intolleranza iniziata dal post-colonizzazione del ’62, si è conclusa con un vero e proprio genocidio di massa di questa etnia, ad oggi smistata tra Bangladesh e Myanmar, senza fissa dimora e sottoposta ai continui soprusi visti poco fa, un genocidio però ricordato e denunciato sempre dai pochi, che sanzionano (come i nuovi USA di Biden) i colpi di stato, ma mai, le vere ingiustizie di una società, ahimè, ancora una volta, messa al lastrico e volutamente dimenticata da tutti.


Noël De La Vega.

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