Quattroequaranta: intro e “Sei momenti musicali”

Pensate che la musica classica sia solo per vecchi rimbambiti o per tipi noiosi e senza una vita sociale? Beh, vi sbagliate. Siete convinti che i compositori di questo genere di musica siano state persone dalla vita piatta e priva di qualsiasi divertimento? No, non è così. Credete che i brani siano tutti noiosi e che facciano addormentare? Altro errore.

Quattroequaranta nasce per abbattere i pregiudizi sulla musica classica. Se ne parla sempre troppo poco, benché sia presente praticamente ovunque. La disinformazione è davvero tanta per un genere che non ha nulla da invidiare a quelli più moderni. Con questa rubrica cercheremo di ascoltare musica insieme in modo consapevole, senza scendere troppo nel particolare ma senza cadere nell’ovvio.

Innanzitutto, perché questo titolo? E’ molto semplice: 440 (in gergo si legge appunto “quattro e quaranta”) è la frequenza in Hertz del La sul quale si accordano tutti gli strumenti. E’ praticamente la base del suonare insieme, senza di esso non c’è armonia.

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Bene, che ne dite di iniziare subito a parlare di qualcosa di concreto? In verità oggi parleremo non di uno, ma di ben sei brani. “Sei brani? Ma che, sei impazzita?”, direte voi. Tranquilli, sarà divertente. Parleremo infatti dei Sei momenti musicali op. 16 di Sergej Vasil’evic Rachmaninoff (Onega, 1° aprile 1873 – Beverly Hills, 28 marzo 1943), compositore, pianista e direttore d’orchestra russo naturalizzato statunitense, che vediamo in tutto il suo splendore nella foto a sinistra. Non parleremo della sua lunga e interessantissima biografia, ma citeremo un solo fatto, fondamentale per la composizione di questi sei meravigliosi pezzi per pianoforte solo. Nel 1896, infatti, Rachmaninoff si trova in uno stato finanziario piuttosto grave. Il 17 dicembre scrive ad un suo amico che entro il 20 deve scrivere sei pezzi per pianoforte. Tre giorni: un niente. Il compositore ci lavora sopra incessantemente, sia di giorno che di notte, e alla fine dalla sua penna escono fuori alcune tra le pagine più belle, innovative e virtuosistiche della storia. Per l’ascolto consiglio l’interpretazione del pianista Nikolaj Luganskij, che potrete trovare sia su YouTube che su Spotify.

Il primo pezzo, in Si bemolle minore, è un Andantino, ed è caratterizzato da un ritmo piuttosto tranquillo, quasi soave. Ma fin da subito viene rivelata la spiccata drammaticità del pezzo, sentimento che caratterizzerà bene o male tutti gli altri cinque. L’idea di fondo è essenzialmente quella di un notturno, composizione musicale ispirata, appunto, alla notte (conoscerete senz’altro i Notturni di Chopin, no?). Ascoltate attentamente: non vi sembra di avere davanti agli occhi un tranquillo paesaggio illuminato dalla luna?

Il secondo pezzo è in Mi bemolle minore ed è un Allegretto, quindi è molto più veloce e spigliato del precedente. Ha la forma di un tipico studio dell’Ottocento. La caratteristica principale di questo brano è il continuo cambiamento delle dinamiche, dal pianissimo al fortissimo. Una vera sfida per il pianista!

Passiamo poi al terzo, un Andante cantabile in Si minore. Preparatevi perché questa è roba seria. E preparate anche i fazzoletti, perché vi farà salire una tristezza allucinante. Può essere considerato un misto tra una romanza senza parole e una marcia funebre. Sentite la potenza dei bassi? Non vi sembrano i passi di un corteo funebre?

Spartito del Presto in Mi minore

Spartito del Presto in Mi minore

Il pezzo che segue è quello che preferisco in assoluto. Tenetevi forte, perché stiamo per lasciarci trascinare dal velocissimo basso del Presto in Mi minore: la sua linea melodica infatti ci getterà in un vorticare infinito di sentimenti contrastanti, sui quali sembra dominare un’eroica frustrazione, una vana determinazione, come quella che si prova quando non si raggiunge un obiettivo che abbiamo rincorso a lungo. Eppure non si smette di lottare, anche se siamo feriti fin nel profondo: il brano si conclude con una coda in prestissimo e un pesante accordo finale, che sembra ribadire “Io non mi arrendo”. In questo brano il virtuosismo tocca quasi il suo apice, sfiora la perfezione.

Siamo quasi alla fine del nostro viaggio. Il quinto pezzo è un Adagio sostenuto in Re bemolle maggiore, che segna un netto distacco con il brano precedente: calmo e dimesso, ci accompagna in un viaggio soave su un mare piattissimo, su una strada in pianura sotto un cielo stellato. Tutto in questo brano insiste su una sola parola: sobrietà.

L’ultimo brano, un Maestoso in Do maggiore, chiude in maniera sorprendente la raccolta. Vi aspettavate infatti una conclusione serena e distaccate? Mi dispiace, ma con questo brano viene ribadito il carattere eroico dell’intera raccolta. “Virtuosistico e brillante”, così lo definisce R. Hancock: la complicata figurazione in biscrome riprende alcuni motivi del secondo e del quarto pezzo, dando loro una fine (finalmente) gloriosa. E perché no, anche un poco sbarazzina.

Il nostro primo viaggio si conclude qui, ma rimanete a bordo perché presto ripartiremo!

Federica Pisacane

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