LA TEORIA DEL TUTTO – RECENSIONE  

Un’equazione che riesca da sola a spiegare le leggi e i misteri che governano l’universo: sarebbe questa la fantomatica teoria del tutto a lungo agognata da Stephen Hawking e che dà il titolo al film, adattamento della biografia Travelling to Infinity: My Life with Stephen scritta da Jane Wilde, prima moglie del celebre scienziato.

Famoso in tutto il mondo per i suoi studi scientifici che spaziano dalla fisica, all’astrofisica, alla cosmologia, Hawking deve la sua popolarità anche al fatto di aver condotto le sue rivoluzionarie ricerche nonostante la  malattia del motoneurone ne abbia compromesso gradualmente i movimenti costringendolo all’immobilità.

Anche quando il corpo è venuto meno, la mente ha continuato a viaggiare e le sue idee sono riuscite a travalicare anche i confini del campo strettamente accademico raggiungendo il successo fra il grande pubblico (A Brief History of Time uscito nel 1988 è stato un best-seller), risultato raggiunto grazie ad uno stile espositivo semplice che ne ha favorito la divulgazione delle opere senza ridurne l’importanza o la complessità. Con ogni probabilità tutto ciò non sarebbe stato possibile se Hawking non avesse trovato forza in Jane, la donna che lo ha amato fin da subito nonostante l’emergere della malattia e che gli ha donato la gioia di tre figli, assistendolo con incredibile fermezza nei momenti più bui dovuti alle complicazioni del suo stato fisico (dall’85 Hawking viene privato anche dell’uso della parola).

Diretto da James Marsh, abile documentarista che inizia a farsi strada anche nelle pellicole di finzione cinematografica, La teoria del tutto narra delle gesta di Hawking privilegiandone gli aspetti legati alla vita personale più che tentare di esplorarne la genialità.

Il lungo e splendido rapporto con la moglie Jane è infatti il centro di un racconto che abbraccia quasi trent’anni di vita dei protagonisti ripercorrendone le varie tappe fondamentali e mostrando l’incedere inesorabile della malattia di Stephen, il quale diventa per lo spettatore l’unico indizio che denota lo scorrere del tempo, fattore che altrimenti sarebbe difficilmente deducibile.

Ciò rappresenta tuttavia una delle poche mancanze di un comparto tecnico che forse pecca di personalità ma che fa sommariamente il suo dovere, supportato da alcune scelte registiche azzeccate (su tutte il riavvolgersi del tempo nella sequenza finale) e da una squisita colonna sonora che tocca le corde giuste, probabilmente con più delicatezza di quanto non facciano le insistenti inquadrature sui difetti fisici del protagonista. È molto facile scadere nel patetismo quando si vuole mostrare il declino fisico di un individuo e purtroppo si ha più volte l’impressione che La teoria del tutto non voglia tirarsi indietro dal correre questo rischio, puntando sui tasti della commozione del grande pubblico, quello meno smaliziato, piuttosto che trattare altre tematiche interessanti e stimolanti relegate a qualche accenno.

La critica più immediata potrebbe essere quella di una mancanza di approfondimento delle teorie proposte in campo accademico da Hawking, in quanto chi ne era all’oscuro difficilmente potrà capire quali siano state effettivamente le sue scoperte, ma in realtà non è tanto questo a destare rammarico, dato che il film si pone in partenza come la trasposizione della storia di Stephen e Jane, protagonista a pieno titolo quanto il marito.

Pesano invece alcune problematicità lasciate irrisolte (ad esempio la differente formazione dei due, l’uno ateo e razionalista, l’altra credente e cattolica) e a questo non giova lo scrupoloso ordine dettato dalla sceneggiatura che ha il merito di riportare fedelmente, uno ad uno, gli avvenimenti più importanti della vita di Hawking lasciando però all’immaginazione le ragioni che li hanno generati (il divorzio fra i due arriva senza un evidente motivazione).

Non si può tuttavia parlare de La teoria del tutto senza menzionare uno degli aspetti più convincenti del film, ovvero la recitazione: Eddie Redmayne e Felicity Jones costituiscono forse il pregio più evidente della pellicola e si candidano prepotentemente a vincere nelle rispettive categorie l’ambita statuetta degli Academy Awards nella cerimonia che si terrà il 22 febbraio.

Redmayne, in particolare, spaventa sia per somiglianza che per dedizione nella resa di un Hawking studiato nel dettaglio. Si può quindi raccomandare la visione del film di James Marsh a coloro che amano le storie di personaggi eccezionali, straordinari, ritratti però con un’ordinarietà che ce li fa sentire più vicini e simili a noi.

 

 

Piero Di Bucchianico

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