Benedetta Barzini, contro le immagini: Il mese delle donne

Benedetta Barzini, un nome famoso che viene spesso associato al passato dorato d’Italia.

Accostata agli anni ’60, al boom economico, alla diffusione su scala mondiale della moda nazionale, lei era il volto di quel periodo, la prima Top Model italiana e padrona delle copertine di Vogue.

Benedetta Barzini

Sarà lei l’ultima protagonista di questo Mese delle donne, ma l’articolo non sarà focalizzato sulla sua giovinezza da modella, ma su come, passata quella fase della sua vita, abbia saputo raggiungere i suoi reali obiettivi.

La biografia

Classe 1943 nacque a Monte Argentario, figlia di Giannalisa Gianzana Feltrinelli (già madre di Giangiacomo Feltrinelli) e Luigi Barzini, una famiglia agiata, ma molto assente, da cui lei si distaccò non appena compiuti i 14 anni.

Ho avuto una famiglia bizzarra, con cui non ho vissuto. Potrei essere una specie di orfana ricca. Mio padre non l’ho visto molto, mia madre viveva la sua vita, ci lasciava alle tate. Verso i 14 anni li ho mollati tutti, tanto neanche c’erano. Ed è cominciata la mia odissea.

La fama sarebbe arrivata per puro caso, quando nel 1963, Consuelo O’Connel Crespi (direttrice di Vogue Italia) la vide passeggiare per Roma e colpita dal suo portamento, l’avrebbe portata con sé in America.

Da quel momento la sia carriera sarebbe decollata, diventando l’immagine dell’esotica e sofisticata bellezza mediterranea, moda e ossessione degli USA anni ’60.

Nella sua esperienza americana ebbe l’occasione di aprire i propri orizzonti ad una società più moderna e dinamica di quella ancora profondamente provinciale del Bel Paese, diventando amica intima di personalità quali Salvador Dalí, Jackie Bouvier Kennedy e Andy Warhol.

Tornata in patria dopo nove anni di America, diventò uno dei principali volti del femminismo italiano, impegnandosi come giornalista nella diffusione di ideali sulla parità di genere.

Riservando un occhio di riguardo ai temi della femminilità e della moda.

Che cosa sia la femminilità è stato deciso da una società maschile. Le donne, anche di fronte a questo, sono state zittite. Penso alle donne occidentali di oggi, che sono le più emancipate mai esistite, ma che sono mute ed obbedienti, come tutte le donne dei secoli passati.

Forte fu anche il suo impegno politico, fu parte attiva del vecchio PCI, nella lotta per i diritti civili che attraversò l’Italia degli anni ’70.

La sua sete di cultura ed il suo interesse per la società e il ruolo delle donne in essa, la portò a conseguire gli studi in antropologia, specializzandosi in storia dell’abito.

Una seconda vita

Con l’avanzare dell’età e col telefono che iniziava a squillare sempre di meno, Benedetta capì che l’immagine da cui aveva tratto la sua iniziale fortuna non poteva essere eterna. Così in affronto a questa società dell’apparenza, che usa le donne fintanto che sono belle e giovani, si reinventò, diventando docente universitaria.

Benedetta Barzini

A più di quarant’anni inizio ad insegnare “Storia del significato dell’abito nel tempo” presso la Scuola progettisti di moda della Facoltà di Lettere dell’Università di Urbino.

Da allora la sua figura è rinata tornando di nuovo alla ribalta. Anche le compagnie di moda, ansiose di sfruttare la sua fama, tornarono a cercarla offrendole il ruolo di modella evergreen nelle principali sfilate internazionali.

La sua piccola rivoluzione fu dimostrare che una modella, donna oggetto per eccellenza all’epoca, non solo dimostrava le sue capacità intellettuali ma col sorgere delle rughe e dei segni dell’età, non si nascondeva dietro ritocchi o trucchi pesanti, li mostrava a tutti, alzando un gran dito medio ai canoni della bellezza imposti dagli uomini.

Oggi, se il sistema ti dice che devi stirarti la faccia, vai a stirarti la faccia. Perché la tua funzione atavica è di piacere all’uomo. Punto. Siamo asservite. Dietro queste settantenni rifatte e in minigonna c’è la disperazione, la miseria intellettuale e la fragilità

Basta immagini

Oggi a più di settant’anni Benedetta Barzini continua ad essere una modella richiestissima, chiamata a presentarsi sulle passerelle di tutto il globo.

Ma ormai giunta a questa terza fase della sua vita, Benedetta, ha deciso di sparire.

Sì avete letto bene, sparire, ma non in senso letterale, ma come immagine, o meglio come immagine che la società desidera.

Nessuno è mai riuscito a fotografarmi davvero, perché ero sempre truccata: il trucco è un trucco, una maschera. Fotografavano una maschera. Io ero molto timida. Ho sempre voluto allontanare la mia persona da ogni forma di violenza. E l’obiettivo è una violenza, tanto che in inglese fotografare si dice to shoot, sparare.

Insieme a suo figlio Beniamino Barrese ha voluto mettere in scena il racconto di questo suo “desiderio di scomparsa”.

Benedetta Barzini

È nato così il docupic “la scomparsa di mia madre” forse la prima volta in cui Benetta ha potuto mettere in mostra sé stessa, e non quello che gli altri desiderano.

La sua scomparsa non è quindi una fuga letteraria verso altri orizzonti, ma dalle scene conformiste e anche da tutto ciò che non segue la sua coscienza.

Un esempio oltre gli schemi

Questo è il mio piccolo omaggio a lei dedicato.

Il ritratto di una persona, una donna, che dovrebbe rappresentare un esempio per tutti, a prescindere dal sesso, che può farci capire che non è mai troppo tardi per cambiare vita e seguire i propri sogni e, soprattuto, a non sottomettersi ad alcun compromesso con una società patriarcale e gerarchizzata e di seguire sempre la nostra mente e la nostra individualità.


Franco Ferrari

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