Adele, la "woman in gold"

Dal 15 ottobre si fa spazio nelle nostre sale cinematografiche una pellicola che ha incuriosito parecchi appassionati di storia dell’arte e non solo. Per la regia di Simon Curtis, produttore cinematografico inglese conosciuto principalmente per aver diretto Marylin (My week with Marylin, 2011), esce “Woman in gold” (“La donna in oro”).

Il cineasta Curtis, quasi seguendo il filo conduttore di Monuments Men –2014, film prodotto e interpretato da George Clooney– prende per mano il suo pubblico facendogli fare un salto nel passato. La protagonista indiscussa della pellicola infatti, più che dei singoli personaggi, è la storia dell’incantevole quadro di Gustav Klimt: The Lady in Gold.

Adele Bloch-Bauer, soggetto del quadro, venne ritratta dal pittore austriaco nel 1907 con indosso la sua collana di diamanti preferita, nell’opera che segnò storicamente il cosiddetto “periodo d’oro” dell’artista. Klimt dipinse il suo roseo viso, forse un po’ cupo e preoccupato per il futuro, su di un prato interamente dorato. L’immensa opera fu commissionata dal marito di Adele e, una volta portata a termine, trovò il suo posto nelle pareti della grande dimora della famiglia Altmann, ricca famiglia ebrea tedesca dedita alla cultura artistica e musicale.

woman in goldMaria Altmann, narratrice della storia e unica erede della famiglia Altmann, vive una realtà immersa nell’amore e sviluppa un profondo legame con la zia Adele; la guarda con occhi pieni d’ammirazione, la venera quasi come fosse la sua vera madre e ascolta silenziosamente ogni suo consiglio sperando un giorno di poter esser tale e quale a lei. Purtroppo Adele morirà di meningite nel 1925 prima di vedere la sua amata Vienna e la casa della famiglia a lei cara sconvolte dall’arrivo delle SS naziste, che confiscano tutti i beni e i capolavori artistici degli Altmann. La stessa “The Gold Lady”, dopo il sequestro, verrà donata alla galleria Belvedere di Vienna.

Lo spettatore viene quindi catapultato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando Hilter e i suoi seguaci terrorizzano il mondo israelitico, togliendogli non solo i valori materiali, ma anche i valori intrinsechi alla sua personalità, quei beni inviolabili che ognuno di noi, nel proprio intimo, custodisce gelosamente. La pellicola, comunque non destinata alle atrocità del nazismo sui generis, attraverso i ricordi di Maria mostra al suo pubblico l’illegittima confisca di numerose opere d’arte appartenenti a molte famiglie ebree tedesche. La crudeltà di quei gesti (che acquistano ulteriore drammaticità grazie strabilianti musiche di Hans Zimmer) acquisisce un ruolo determinante per lo svolgimento dell’intreccio narrativo.

La trama si sviluppa e si avvia alla conclusione molti anni dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale: Maria, ormai in età avanzata, rivendicherà, insieme all’aiuto di un avvocato dalle sue stesse origini austriache –Randy Schoenberg– ciò che di diritto le spetta. Questa battaglia legale sarà possibile grazie al reperimento del testamento del marito di Adele, che dona tutti i suoi averi ai suoi nipoti tra cui Maria, l’unica rimasta ancora in vita.

Maria Altmann, interpretata dalla british Helen Mirren, è una donna che sa bene ciò che vuole, dalla caparbietà indiscussa, nonostante sia vittima di un passato orribile che la rincorre giorno dopo giorno. Quando ormai il lusso elegante, le feste intellettuali e i sorrisi calorosi delle persone amate fanno parte delle memorie quasi sbiadite, Maria trova la forza di mettersi in gioco e reclamare ciò che di più prezioso le è stato estirpato, e che ovviamente non è riconducibile al valore economico dell’opera di Klimt, ma alle radici sentimentali che la legano ad essa e che rimangono l’unica possibilità di tenere in vita il ricordo della sua famiglia ormai scomparsa.

E proprio i ricordi sono il filo conduttore su cui Simon Curtis gioca, interagisce, quasi osando più del dovuto, rendendo la storia a tratti difficile da seguire o povera nell’armonia tra i fatti obiettivamente accaduti ed i continui flashback della Altmann. Questa doppia narrazione risulta essere a volte pesante per uno spettatore casuale, ma nel complesso è un film delicato che capta l’attenzione di qualsiasi genere di pubblico. Una storia adatta a commuovere che tocca punti sensibili nelle corde emozionali dello spettatore.

Andrea Gebbia

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