Vogliatevi bene: guardate Mad Men

MAD MEN:

a term coined in the late 50’s to describe the advertising executives of Madison Avenue.

They coined it.

 

Fornirvi buoni argomenti per affrontare la visione dei ben novantadue episodi di Mad Men è cosa meno ardua di quanto si possa pensare: non c’è aspetto di questa serie che negli anni non sia stato incensato, premiato, elevato a prototipo di un nuovo modo di fare televisione. Perfino il fatto che la serie non sia mai stata un clamoroso successo in fatto di ascolti ci dà la misura della sua singolarità: la AMC ha sempre avuto una tale fiducia nella creatura di Matthew Weiner (un signore che prima aveva prodotto I Soprano, per dire) da ritenere che potesse reggersi in piedi anche per i soli meriti artistici. Non che alla AMC non abbia mai fatto gioco la cosa, Mad Men è stato il primo prodotto della rete a definirne l’identità di canale dedicato alla qualità senza compromessi, e forse è proprio grazie al successo di Mad Men che ai piani alti hanno preso il coraggio di dare il semaforo verde a operazioni rischiose come Breaking Bad prima, The Walking Dead poi: sappiamo tutti come è andata a finire.

Advertising is based on one thing, happiness.

La trama si racconta in una frase: Mad Men è la storia di un uomo tormentato e dell’agenzia pubblicitaria per la quale lavora, a New York, durante il corso degli anni Sessanta. E proprio i Sixties sono la prima delle attrattive che ci spingono a innamorarci all’istante della serie. Ciò non avviene solo a livello di scenografie, abiti, trucco, abitudini, oggetti, suoni, peraltro ricostruiti tutti in maniera maniacale, tutti trasudando del fascino unico del decennio più problematico della storia recente degli Stati Uniti: ci sono poi Nixon contro Kennedy, la crisi di Cuba, l’omicidio di Martin Luther King, l’Apollo 11… La narrazione di Mad Men è dettata, scandita e trainata dalla Storia che si muove e porta con sé il mondo intero, trascinandosi via i destini dell’umanità e, più in piccolo, dei nostri protagonisti.

Change is neither good or bad, it simply is.

Mad Men in effetti, al di là della Storia con la S maiuscola, non è che racconti chissà quali vicende. La trama orizzontale certo, esiste, ma si muove a una velocità pachidermica: il vero interesse di noi spettatori va semmai, con tanto affetto ed empatia, nei confronti delle trasformazioni interiori profondissime dei personaggi che animano la Sterling Cooper, l’agenzia pubblicitaria al centro di tutta la narrazione. Tra i mille volti che si imparano a conoscere, alcuni sono più importanti: c’è uno dei titolari, Roger Sterling, un libertino insofferente alle responsabilità intrappolato in un corpo ormai maturo, cui fa da contraltare il giovane Pete Campbell, tanto desideroso di affermazione e considerazione quanto insicuro e falsamente spavaldo; c’è un trio di donne meravigliose che narrano il decennio della progressiva emancipazione femminile da punti di vista completamente diversi: quello della “donna nuova”, Peggie, impegnata a ritagliarsi un ruolo di rilievo nella compagnia e nella società; quello di Betty, moglie, madre e donna legata a un mondo che si sta esaurendo; quello di Joan, donna “di mezzo” perennemente in bilico tra famiglia e successo lavorativo, con la zavorra (o l’arma?) di un corpo troppo bello per non essere bersaglio di un machismo ancora imperante. E poi, tra tutti gli altri, bellissimi personaggi, c’è Don.

What you call “love” was invented by guys like me. To sell nylons.

Don Draper è il motivo per il quale non vi limiterete ad appassionarvi alla serie, ma la interiorizzerete e la farete vostra: bellissimo, un genio della pubblicità, ricchissimo, Don è apparentemente tutto ciò che vorrete mai essere, più un dio in terra che un uomo come tutti gli altri. Eppure sotto l’aura che avvolge l’attore Jon Hamm (strepitoso, come tutto il resto del cast d’altro canto), in fondo agli occhi si intravede un oceano di malinconia. Dietro la maschera da uomo di successo si apre quell’abisso di inadeguatezza e disperazione che, tenuto nascosto con timore, ognuno di noi riserba nel profondo. E come nella sigla di testa, ecco che tutto crolla e si disfa, ecco che Don Draper è uomo in caduta libera, in preda all’incostanza e alla bulimia negli affetti che lo caratterizza. Un uomo capace di realizzarsi solo attraverso una cinica maschera e un lavoro: una dimensione, quella della pubblicità, nella quale tanto riesce a cogliere le leggi del desiderio e della felicità quanto fallisce nel mantenere saldo ogni minimo impegno preso nella vita reale.

Don Draper ci piace e ci parla perché è parte di noi, è quell’insostenibile umanità fragile che un mondo che corre più forte di noi ci costringe a reprimere per non soffocare.

What’s happiness? It’s a moment before you need more happiness.

In sostanza, dovreste guardare Mad Men non solo perché è uno show divertente, cinico e drammatico, non solo per l’ambientazione da sogno e la passione per un passato che non c’è più, non solo perché, in sostanza, è una delle più impeccabili serie di sempre, ma soprattutto perché Don Draper è un Dante senza fede che passo dopo passo se ne scende all’inferno, e i dannati hanno sempre il loro fascino.

 

Nicola Carmignani

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