Verso la notte degli Oscar – Birdman

A partire da questa settimana uRadio, in abito scuro e frac, si imbelletta e vi porta dritti dritti sul red carpet della scintillante Notte degli Oscar, spiando nei i backstage dei film dell’anno, svelandovi curiosità e retroscena e…perché no, azzardando anche qualche pronostico.  Ci sarà spazio naturalmente per impressioni e suggestioni, per critiche e recensioni, insomma, tutto quello che i film candidati ci hanno suscitato. Partiamo con il pezzo di Francesco Folletti su Birdman di  Alejandro Gonzales Inarritu in corsa per nove statuette. Enjoy!

 

Birdman: o l’antieroe

La vita è sul palco o la vita è uno show?

Questa la domanda che ci si pone una volta terminati i titoli di coda del film, che non scorre esattamente fluido come un sorso d’acqua. Le battute dei personaggi si rincorrono veloci come colpi sferrati in una rissa; eppure nessuna di quelle sembra incidere veramente.

Tutto accade, nel film, come per caso, con la teatralità d’uno spettacolo, d’un fenomeno particolare. E la particolarità di questi eventi non viene affatto esaltata: vogliamo parlare di quando Reagan rimane chiuso fuori dal teatro per fumare una sigaretta, mentre gli attori sono in scena, e per tornare sul palco deve attraversare seminudo la folla newyorkese? Tutto è limato sullo stesso livello. Come se nella vita di tutti i giorni succedessero realmente cose del genere, o come se cose del genere succedessero talmente spesso da non darvi troppa importanza. Limare tutto sullo stesso livello: è di questo che accusa lo stesso protagonista il critico del “Times” Tabitha Dickens. “Questo a voi non costa alcuno sforzo”. E così dicendo implica che nella scena teatrale, nel suo lavoro ci si metta cuore, ci si metta impegno, emozione. La voglia di stupire anche se stessi; la stessa sorpresa che sembra mancare al film e ai personaggi nella loro vita reale, fuori dalla scena.

Nella vita di un attore di quel calibro, come ci viene descritta, tutto è diverso: questi sono uomini e donne che hanno provato di tutto, questi sono uomini che hanno svenduto ogni cosa nella loro vita (a partire da un matrimonio e un rapporto decente con la figlia per arrivare alla casa a Malibu, venduta per firmare un contratto col noto attore Mike Shiner); queste sono donne che hanno tutti gli occhi puntati addosso, e sono ancora in cerca di attenzioni.

La figlia di Reagan/Birdman, Sam, appena uscita dalla riabilitazione, ora drogata di adrenalina, passa il suo tempo sul tetto del teatro, cercando anche l’ombra di un’emozione, anche solo l’illusione della paura nel rischio che comporta quell’altezza. Questi sono uomini e donne che hanno completamente perso di vista la loro vita: nelle loro menti, nelle loro azioni più che in ogni altra cosa, lo stage. Non sono niente al di fuori di quel palco, e ne è esempio lampante Mike Shiner, incapace, impotente al di fuori di quella finzione, come lui stesso dichiara di essere in risposta alle avances di Sam.

Nulla al fuori di quel palco. E Sam lo urla pure al padre, in una delle scene che sembrano essere gli unici momenti lucidi dell’intero film, pervaso da un’aura schizofrenica, distorta. Chi ti credi di essere, tu? A chi vuoi che interessi? Ed è solo a lui, proprio a lui che interessa: lui che in una scena di sogno soddisfa finalmente l’ambizione di prevalere su tutti, volando, ergendosi su tutti quelli, lui, lui, lui. Nella vita reale, cos’è lui? Un “ignorante” reso famoso dall’interpretazione di un supereroe di seconda categoria, che gli è rimasto appiccicato addosso come la colla, come il desiderio di celebrità, di riconoscimento. Un desiderio a noi tutti comune, qui portato all’esasperazione; espresso dalle parole di un’attrice della commedia: ho sempre desiderato recitare a Broadway, sin da quando ero piccola, ed ora mi sento ancora una bambina. Aspetto ancora che qualcuno mi dica che ce l’ho fatta.

Ma sulla scena? Tutto è più reale tra i contorni della finzione. Lì, sotto gli occhi di tutti, finalmente una vita vera sembra possibile, come anche la morte, che Reagan ha tanto invano cercato di procrastinare col suo desiderio di celebrità. Lui voleva lasciare una traccia nel mondo, voleva (come suggerisce la frase ad inizio film di Raymond Carver) sentirsi amato su questa terra, non voleva morire nell’anonimato. Ed è questa la morte che sceglie, una morte che gli regalerà la vita eterna. La morte sul palco. Bang. Il corpo cade esanime in terra, sgomento della folla. Scroscio di applausi.

E il senso più attuale del film è racchiuso nelle parole che Sam rivolge al padre in uno scoppio di bruciante sincerità: non sei su twitter, non sei su facebook, neanche esisti. “Io non esisto”: non a caso, le ultime parole del personaggio che Reagan interpreta sulla scena della sua commedia, le ultime parole prima che il grilletto premuto faccia calare il silenzio.

Reagan è l’antieroe per eccellenza; ed è proprio questo che il regista esalta, più che i colpi di scena, più di qualsiasi altra cosa, l’assiduo tentativo di analizzare l’animo umano: incerto, contradditorio, deludente, affascinante.

 

Francesco Folletti

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