#uReview : MUSEICA

È tornato Caparezza. E questa, di per sé, è già una notizia, considerando la parabola qualitativa dei suoi album, sempre ascendente. Il “rapper” di Molfetta ha inserito sempre più influenze all’interno dei suoi lavori, ecco spiegato il perché delle virgolette di prima: Caparezza non è solamente un rapper, e questo sesto disco, “Museica”, non fa altro che confermarlo. Il titolo è una chiara allusione al numero di album oggi pubblicati da Michele Salvemini ma, letto nel modo giusto, si rivela essere un’interessante chiave di lettura di tutta la tracklist. “Musèica”, ovvero, museo in musica.

Ed in effetti il disco si rivela essere una specie di galleria, in cui le 19 canzoni (esatto, nessun refuso: sono proprio così tante) sono dei “quadri” appesi alle pareti, tanto che questo “Museica” sembra fatto per essere non tanto ascoltato quanto “visitato”, vista anche la complessità di certi passaggi, soprattutto (ma non solo) testualmente parlando. L’intro, che porta l’azzeccato nome di “Canzone all’entrata” (contrapposta alla conclusiva “Canzone all’uscita”) evidenzia appunto questa natura del tutto particolare del nuovo platter di Caparezza. Seguono un ironico autoritratto, paesaggi, nature morte (“China Town”), ma sono i ritratti a farla da padrone, nella galleria d’arte di Michele Salvemini.

Ritratti, come da tradizione, pungenti e dissacranti dei tipi umani con cui abbiamo a che fare nel nostro Paese. Il tutto accompagnato dal linguaggio, in questo caso metaforico, dell’arte figurativa. Non si tratta di un concept album vero e proprio, quanto piuttosto di un filo conduttore che collega tracce tra loro assai diverse, rendendo l’ascolto complessivo molto piacevole. Si ha quasi la sensazione di camminare nei corridoi di un museo, di soffermarsi sui particolari di un certo dipinto, e poi spostarsi a quello successivo. Per realizzare un effetto tanto convincente, ci vogliono delle lyricsefficaci: ma in questo, con il Capa, si va sul sicuro. Effettivamente, sono in pochi oggi in Italia ad utilizzare lo strumento della parola in musica come il signor Michele Salvemini. Parola intesa come strumento sfaccettato, straniante a volte, ma mai come in questo caso, “visuale”. E’ nella natura dei testi di questo “Museica”, infatti, tratteggiare immagini vivide nella testa dell’ascoltatore, che prova la sensazione di “guardare” la canzone. Museo della musica, dunque, ancora una volta.

E la musica? La domanda è lecita, soprattutto considerando il genere in questione, che spesso infarcisce i brani di testi eccezionali, tralasciando l’accompagnamento: preferendo, in sostanza, lavorare sulla pagina bianca che sul pentagramma. Caparezza, anche stavolta, rappresenta un “unicum” in questo panorama. Come già detto all’inizio, “Museica”, come ogni suo lavoro ma in misura decisamente maggiore, presenta moltissime influenze. Lascia piacevolmente stupefatti, ad esempio, l’intro hard rock di “Mica Van Gogh”, come quella della traccia successiva, “Non me lo posso permettere”, che ricorda certi DropkickMurphys. Sorpresi? Il disco si rivela essere un museo della musica anche in questo, accostando generi diversissimi e variando completamente registro nel giro di pochi minuti. Andate al minuto 0:38 di “Argenti vive”, ed iniziate a pogare su un riff che ha tutti i crismi del nu-metal. Ascoltatevi l’inizio di “China Town”, e chiedetevi se nella vostra copia scaricata di “Museica” non abbiano infilato qualche artista random, magari molto bravo col piano. Poi arriva la voce del Capa a togliere ogni dubbio. Ed è proprio lei, la particolarissima voce di Michele, a fare da trait d’union acustico tra tutti i brani, che non risultano troppo, ma comunque abbastanza, disomogenei. L’effetto finale è straniante, volutamente straniante. Proprio come in una galleria d’arte, trovano posto brani completamente diversi l’uno dall’altro, ed è anche questo il bello di “Museica” che, nonostante i suoi 70 minuti di durata, non annoia mai proprio in virtù di questa eccezionale varietà.

Impossibile ergere un brano sugli altri. Ognuno troverà il suo preferito, proprio come si trova un quadro che, in tutta la galleria, lui solo fa emozionare come nessun’altro. Sarà per quel particolare uso del colore, per quel paesaggio, per gli occhi di quella bambina in quel ritratto…il motivo è inspiegabilmente soggettivo, e così è per i brani di questo disco.

Caparezza ha osato moltissimo, stavolta. Un album lunghissimo, eterogeneo, stravagante, eccentrico, come mai nella sua discografia. Ascoltarlo tutto è però come farsi un giro in un museo: si esce stanchi, con i piedi (o le orecchie) che fanno male, ma con la consapevolezza di essere un po’ più ricchi.

Giacomo Piciollo

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