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SONO STATA ALICE (MELANIE BENJAMIN)

Cosa si prova ad essere la protagonista di uno dei romanzi più celebri del mondo della letteratura per l’infanzia? E quanto questo è in grado di segnare la tua vita per sempre?

È quello che ci racconta Melanie Benjamin in questo suo illuminante e affascinante “Sono stata Alice”, dando voce, a quella che per ognuno di noi rimarrà sempre la bambina curiosa che rincorre il Bianconiglio, beve il tè con il Cappellaio Matto e affronta le terribili ire della Regina di Cuori: nient’altro che Alice nel Paese delle Meraviglie.

 

 

Dietro le mirabolanti avventure che tutti conoscono c’è infatti una bambina, e poi una donna, in carne ed ossa e realmente esistita: Alice Pleasance Liddell (1852-1934), quarta figlia del decano del Christ Church College, appartenente all’Università di Oxford, dove Charles Dodgson (il vero nome di Lewis Carroll) insegnava matematica.

Con maestria l’autrice, partendo da una serie di documenti e fonti oggettive pervenuteci, imbastisce una vivida storia romanzata, ma del tutto verosimile e realistica, sul “personaggio dietro il personaggio”.

Tutto ha inizio quando Alice ha soltanto sette anni: Mr. Dodgson è un amico di famiglia, e ama la gioviale compagnia delle figlie del decano che spesso lo accompagnano nelle sue passeggiate per i viali di Oxford.

Sin dal principio però si sviluppa un’affinità speciale tra i due: una sorta di pre-comprensione spirituale unisce questi due esseri così diversi eppure in fondo così profondamente simili: un uomo-bambino e una bambina in qualche modo già donna. Non a caso questo è il periodo in cui Dodgson, appassionato di fotografia, scatterà una delle immagini più famose di Alice, in cui la piccola viene ritratta in abiti da “zingarella” e guarda dritta nell’obiettivo con uno sguardo che ammalia e turba insieme.

Pur così anomalo e peculiare, il loro rapporto è ben oltre le ambiguità e i bassi, miserabili pettegolezzi che lo caratterizzeranno in quell’epoca (e che segneranno indelebilmente la vita della protagonista): esso è ammantato di un velo di appassionato candore -non trovo modo migliore per definirlo- che oltrepassa qualsiasi barriera e pregiudizio per sbocciare in tutta la sua purezza e intensità, e che quasi acceca per la sua forza.

È durante una tranquilla gita al lago che la vita di Alice cambierà definitivamente: le sorelle Liddell, per distrarsi un po’, chiedono a Mr.Dodgson di raccontare loro una delle sue fantasmagoriche storie. E lui incomincia, inventando sul momento quella che sarà poi una delle storie più famose di sempre: “C’era una volta una bambina di nome Alice..”

Sarà la stessa Alice, negli anni a seguire, a insistere perché il professore la scriva. A ben guardare dunque, in un certo senso, è lei stessa a scegliere di farsi personaggio. In qualche modo, non del tutto consapevole, sceglie per sé il proprio destino, che le impedirà di essere per il resto della sua vita “solo” Miss Alice Liddell.

La gioia della fanciullezza e l’idillio del suo delicato amore infantile termineranno però di colpo a causa dei sempre più radicali sospetti della famiglia di lei, che deciderà di allontanare in modo definitivo il signor Dodgson per evitare qualsiasi scandalo.

Lontana dal Paese delle Meraviglie e dal suo “Cappellaio Matto” Alice dimenticherà il suo spasmodico desiderio di voler “rimanere bambina per sempre”: l’età adulta le porterà nuove “fiabe”, come la storia d’amore con il principe Leopold, ma anche e soprattutto, vecchi e nuovi dolori.

La sua vita prenderà però pieghe ancora diverse, fino a estraniarla quasi completamente dal suo vecchio mondo e a condurla a una quieta vita da madre e donna benestante di campagna- apparentemente scarna e vuota, ma vissuta con la consueta passione e intensità che la caratterizzano- nella quale scoprirà ancora una volta di non aver mai rinnegato, nel profondo del cuore, sé stessa e il suo personalissimo Paese delle Meraviglie.

L’elemento che è più capace di appassionare nel romanzo sta nella capacità della scrittrice di darci un’impressione estremamente netta e vivida della vita della protagonista, unendo il senso profondo del reale, del quotidiano, al segno indelebile di una vita speciale, di qualcuno che porta sulle spalle la benedizione/maledizione di essere destinata a una vita fuori dagli schemi consueti.

E così, alla fine della sua vita, nonostante i suoi apparenti rifiuti e la sua volontà di non identificarsi più nel proprio personaggio, non si può fare a meno di scorgere dietro tutto il suo trascorso, e oltre le rughe della vecchiaia, quello scintillio negli occhi che appartiene ancora e apparterrà sempre, inevitabilmente alla piccola Alice nel Paese delle Meraviglie.

“Per ottanta anni sono stata, in momenti diversi, una zingarella, una musa, un’amante, una madre, una moglie. Ma per un solo uomo, e per il mondo intero, io sarò sempre una bambina di sette anni di nome Alice.”

Melanie Benjamin (Indianapolis, 1962) è lo pseudonimo di Melanie Hauser. “Sono stata Alice” (2010) è il suo primo best-seller. Ha pubblicato successivamente altri libri basati su personaggi storicamente esistiti, quali “L’autobiografia di Mrs. Tom Thumb” e “La moglie dell’aviatore”.

Rossella Miccichè

Mariana Palladino

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