uRadio verso gli Oscar 2017: Arrival

Continuiamo ad analizzare i film in gara per gli Oscar 2017: oggi tocca ad Arrival, film del 2016 diretto da Denis Villeneuve.

Si tratta di un film di fantascienza, basato sul racconto Storia della tua vita, incluso nell’antologia di racconti Stories of Your Life di Ted Chiang, scritto da Eric Heisserer, e ha come protagonisti Amy Adams, Jeremy Renner e Forest Whitaker.

Il film è stato presentato il 2 settembre 2016 in concorso alla 73ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Ha ricevuto otto candidature: miglior film, miglior regia a Denis Villeneuve, miglior sceneggiatura non originale a Eric Heisserer, miglior fotografia a Bradford Young, miglior scenografia a Patrice Vermette e Paul Hotte, miglior montaggio a Joe Walker, miglior sonoro a Joe Walker e miglior montaggio sonoro.

Giada Coccia. L’ultimo film di Denis Villeneuve riesce a infliggere una commozione che matura lentamente, dalla prima all’ultima inquadratura del film, in un excursus ascendente nei sentimenti di Louise Banks. Se è indubbia la bravura di Amy Adams e la capacità di Villeneuve di riuscire a farci sentire quello che lei sente, il coinvolgimento arriva come un calore da una multipla fonte: attrice, regia, fotografia, montaggio e musica. Il batticuore è alimentato nei climax emotivi dalle adattissime e nevroticamente eccitanti musiche di Jóhann Jóhannsson e dal brano On the Nature of Daylight di Max Richter, che ci cullano nella esternazione delle nostre emozioni attraverso il viaggio di Louise e sua figlia lungo la vita, la morte e, infine, la nascita. Il brano di Richter è tanto delicato quanto viscerale, perfettamente si adatta agli ambienti ovattati e puliti di Arrival, mantenendo quella sfumatura d’onirico e malinconia che era invece predominante in Shutter Island. La forza di dolce emotività che ci porta alle lacrime nel finale con On the Nature of Daylight è dovuta anche al contrasto e, in qualche modo, alla naturale conseguenza delle musiche di Jóhannsson da cui abbiamo potuto farci già influenzare dal trailer.
Gli alieni, ma anche l’alterità più in generale, sono ben caratterizzati graficamente, ma l’idea è stata alimentata soprattutto dall’ansia, dall’intestino che si contorce, dall’aspettativa di cui la colonna sonora dell’islandese ci nutre. La tenera tensione che ci accompagna per tutto Arrival si scioglie nel brano finale di Richter con cui, richiamando l’iniziale dramma familiare, veniamo travolti da un graduale calore che sa di malinconica circolarità, di inevitabile nefasto destino.


Valentina CarbonaraDa molti mesi nelle mailing list e nei forum di linguistica si vociferava di questo film con toni iperbolici: “Finalmente un film su noi linguisti”. Purtroppo, però, Arrival sfiora soltanto, talvolta anche maldestramente, l’ipotesi di Sapir-Whorf, secondo la quale ogni lingua plasma le abilità cognitive dell’uomo in modo diverso. Nel film vediamo la protagonista Louise, docente universitaria di linguistica, alle prese con la decifrazione della lingua degli alieni, processo che viene solo superficialmente trattato, abbandonando quasi subito ogni velleità scientifica. Quando, però, sfuma la spiegazione tecnica, diventa più consistente il percorso emotivo e drammatico della vicenda, che convince  e commuove anche il più disincantato linguista. La fotografia gioca magistralmente sulla dilatazione, in sintonia con l’esperienza individuale della protagonista di graduale soppressione dei confini spazio-temporali. E’ una fantascienza lontana dai blockbuster, quella di Arrival, senza toni catastrofici ma con un ottimo bilanciamento fra denuncia all’umanità e dinamiche intimistiche. Forse, in fondo, meriterebbe l’Oscar come Miglior Film anche più di La La Land.

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