Che pena gli uomini: Un Sogno di August Strindberg

Ieri, giovedì 17 gennaio, la compagnia TeatrO2 di Mila Moretti ha portato in scena al Teatro dei Rozzi Un sogno del drammaturgo svedese August Strindberg. Scritto per sublimare il dolore per la fine del suo matrimonio, in questo adattamento il sogno rappresentato è quello degli attori la sera prima della prima.

L’intero dramma si svolge in un’unica scena, costruita con un’accozzaglia di mobili e oggetti che danno l’impressione di uno spazio dietro le quinte, reso ancora più caotico dall’affannarsi dei vari personaggi, che si spostano senza scopo. Harriet, interpretata da Veronica Saglimbeni, è la protagonista assoluta: moglie di Strindberg e resa una semidea, decide di scendere sul nostro piano d’esistenza per osservare le vite degli uomini, le loro gioie e le loro miserie. Il mondo è il palco, ingombro di oggetti e abitato da strani personaggi, ognuno coi propri desideri.

Il desiderio comune però è quello di aprire una misteriosa porta, dalla quale l’Ufficiale (Marco Bonucci) si aspetta di veder uscire Vittoria (un’allegoria? Un simbolo? Difficile a dirsi). La porta non può essere aperta, né si sa cosa vi sia dietro. Ma i personaggi se ne dimenticano, tutti presi a raccontare ad Harriet le loro preoccupazioni. Su di tutti quasi incombe la figura del Poeta (Stéphane Lambion), che osserva i suoi (?) personaggi girando loro intorno, scavalcando gli oggetti e infilandosi nella barcaccia per vederli da lontano.

Che pena gli uomini” ripete continuamente Harriet mentre scopre che il mondo umano non è il paradiso che credeva. L’amore, uno dei temi del dramma, diventa una forza ambigua capace sì di dare energia ma in grado anche di lacerare un’identità e gettare nella disperazione. Lei stessa, insieme al Poeta, inscena un matrimonio in disgregazione, basato su banali patti non rispettati e toni bruschi da evitare.

Non c’è una trama coesa, in verità, ma una serie di piccoli episodi collegati tra loro senza un filo logico che fluiscono l’uno nell’altro grazie alla musica e ai gesti di uno dei personaggi. L’unico episodio che segue la logica del prima-dopo è la fatidica apertura della porta a opera del Vetraio (Roberto Gonnelli). I personaggi, trepidanti, si affacciano sull’uscio per scoprire che dall’altra parte non c’è niente. Alzano quindi meccanicamente il dito contro Harriet, incapaci di prendersi la responsabilità del vuoto e accusandola di averli obbligati ad aprire la porta.

Veronica Saglimbeni riesce a dare ad Harriet un’enorme vitalità e profondità, rendendola l’unico personaggio nel quale ci si può davvero immedesimare. Non si può non provare compassione per l’Attacchino (Alessandro Maggetti) il cui unico desiderio era quello di avere una rete verde “ma non di questo verde, di un altro”. E il Poeta, appunto, deus ex machina sottaciuto e coprotagonista assoluto della scena, è l’unico capace di collegare con i suoi gesti scene altrimenti separate.

Le luci, gli oggetti, i costumi, tutto fa pensare a un sogno caotico e febbricitante, dove niente è esattamente come sembra e dove si utilizza il linguaggio del teatro, fatto di gesti, movimenti ed espressioni, per raccontare le miserie umane.

Che pena gli uomini. Viene da chiedersi cosa direbbe Harriet vedendoci adesso.


Federica Pisacane.

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