Frammenti di umanità: “Un paese di Calabria”

Un paese fuori dal tempo e dallo spazio con una storia di ingiustizie e solidarietà. Un piccolo spunto di riflessione tra le tante osservazioni


Sono tante le posizioni da poter prendere a riguardo, varie le osservazioni, molte le critiche e innumerevoli gli spunti di riflessione. La trama del tessuto è così complessa che, dati i cospicui punti di vista e le striature della vicenda, da qualsiasi angolazione politica si voglia giudicare la questione insieme con le sue sfumature ci sarà sempre una fetta di porzione di ragione da riconoscere al proprio interlocutore. La tematica controversa è quella che ha Riace come protagonista, e con Riace tutti gli abitanti di quelle terre difficili. La straordinarietà e la singolarità del caso Riace, che da diversi anni desta l’interesse, l’ammirazione e le critiche di mass media, ministri e opinione pubblica (e tornato prepotentemente sotto i riflettori per le ultime vicende giudiziarie che hanno coinvolto il sindaco Domenico Lucano), viene raccontata e descritta con efficacia da Un paese di Calabria, docufilm risalente al 2016, co-diretto da Shu Aiello e Catherine Catella.

La locandina del docufilm

Una finestra su un mondo.

L’immagine scorre lenta, quasi a voler assecondare l’atemporalità di quel pezzo di terra, che vive e sopravvive con ritmi propri, diversi. La telecamera si allunga su di un crocchio di case arricciate l’una sull’altra che si aprono improvvisamente sulla strada e l’impressione istantanea è quella di stare osservando, o meglio sbirciando, un piccolo microcosmo lontano nello spazio e nel tempo. Ci sono gli anziani che affollano il bar, i bambini a scuola, le donne al telaio. Una voice over narra di un parallelo ed ipotetico viaggio dall’Italia alla Francia, mentre inesorabile la cinepresa incornicia i volti, a un tratto logori a un tratto sorridenti, delle persone che, arrivate dai luoghi più remoti, dal 2004 hanno cominciato a ripopolare questo paesino calabrese, a lungo preda di mafie e secolari ingiustizie. Sono uomini, donne e bambini che, nonostante si trascinino dietro un passato colmo di dolore, sofferenze e traumi, ce l’hanno fatta.

La nuova umanità.

Queste persone aspirano ora a quella vita tranquilla e serena tanto agognata, dopo l’estenuante e terribile viaggio che, cominciato nella maggior parte dei casi in Centro Africa o in Medio Oriente, ora li ha portati fin qui. Sono quindi i miracolati, i sopravvissuti di un inferno che pensiamo di conoscere e che invece ci rimane oscuro. “Ci dispiace – sanno dire alla fine gli italiani – ci dispiace per quello che avete subìto”. Attraverso le loro testimonianze queste persone, frammenti d’umanità tornati a vivere, raccontano di aver trovato a Riace una possibilità di rinnovata esistenza, di essere stati accolti con rispetto, dignità e fratellanza. Solamente qui, in questo trancio di terra, hanno avuto la possibilità di integrarsi compiutamente, senza che gli altri cittadini si sentissero minacciati o intimoriti, ed anzi hanno contribuito attivamente a rimettere in moto l’economia e la vita sociale e culturale del luogo. È questo che raccontano, oltrepassando lo schermo, di essere tornati a sentirsi umani.

La comunità originaria.

Nel prosieguo della visione l’attenzione volge sull’altro spaccato di vita e sogni che si snoda su quelle strade, in quelle case, sui mai marginali coprotagonisti di questa storia: i riacesi. Essi ci appaiono fieri e orgogliosi di aver contribuito a far nascere e poi sostenere una comunità che condivide come più altro principio il valore della convivenza, tra più culture, più etnie, più lingue; un insieme armonico di volti, arricchito dall’esperienza intima, e quindi preziosa, di ogni singola voce.

Domenico Lucano, il sindaco sospeso il 3 ottobre 2018

Il personaggio principale.

I gesti che descrivono la quotidianità di Riace raccontano una civiltà sui generis, il cui motore pare fondarsi sull’affettuosità e lo spirito di squadra. Ogni singolo membro della collettività cerca di apportare a proprio modo un contributo valido e duraturo per il suo prossimo. Il vero collante tra questi slanci più o meno individuali è Domenico Lucano, tre volte sindaco di Riace (sospeso dall’incarico il 3 ottobre 2018 a seguito di un processo per favoreggiamento dell’immigrazione) e personaggio che più di tutti gli altri ha creduto in questo progetto di sviluppo e crescita pacifica e condivisa. Niente è infatti accaduto per caso a Riace: il modello d’integrazione riconosciuto in tutto il mondo è stato fortemente voluto e caparbiamente raggiunto. È stato proprio Lucano a porre le basi per l’affermarsi di questa nuova e originale idea di società, embrionalmente rivoluzionaria, ed è stato lui a battersi, persino spingendosi a volte oltre la legge, perché tale utopia si materializzasse; è sempre lui che ha lavorato affinché un nuovo tessuto umano si creasse e fosse persino più coeso e produttivo rispetto al preesistente. A lui si deve la rinascita del paese, con conseguente incremento della popolazione, che da poche centinaia di individui è passata in pochi anni alle due migliaia (dati ISTAT del 2017).

Il Villaggio Globale

Città futura.

Nell’attuare il progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) ai fini di assicurare una dimora a tutti i richiedenti asilo, il Comune ha utilizzato immobili abbandonati, costruiti tra agli anni ‘30 e ’60, recuperati con fondi dell’Unione europea e progetti della Regione Calabria. La creazione dell’associazione “Città futura” nel 1999, con l’intento di trasformare Riace in una città dell’accoglienza, è stata la prima tappa di un percorso sicuramente azzardato per il contesto assai problematico nel quale si è trovato a maturare, ma che ha a poco a poco riscosso consensi e approvazione tra i riacesi, che hanno ripetutamente riposto fiducia nella persona del sindaco e nel suo modus procedendi. Solo e soltanto per questo aspetto Riace sarebbe già da considerare, senza se e senza ma, un modello vincente, forse non esportabile così facilmente in altre zone, ma comunque da preservare.

Essere umani.

Al di fuori del clima politico attuale e delle problematiche burocratiche e legali che hanno travolto la giunta di Domenico Lucano e il modello d’accoglienza realizzato, il pensiero non può essere estraneo dal vivido pulsare delle immagini d’amore di cui si è spettatori, un amore sentito e trasversale in cui gli abitanti di quel luogo si riconoscono senza ipocrisie e doppi fini e che mettono in primo piano, tralasciando il colore della pelle o la differenza di culto e religione. È tutto questo che fa di Riace una città unica, esempio da difendere per chi ne condivide la natura intrinseca o da demonizzare per chi ne ripudia i valori. In un periodo storico votato all’oscurantismo, alla paura e all’indifferenza, Riace sembra ergersi come uno degli ultimi baluardi di civiltà in cui a trionfare sono ancora la sacralità della vita e il suo rispetto, la ricchezza d’umanità. Commuove e stupisce, inoltre, il fatto che ciò avvenga in una terra economicamente arretrata, la cui eredità risente tutt’oggi profondamente delle antiche vessazioni e malefatte, tanto che ai più risulta strana, se non addirittura assurda, la possibilità di praticare atti e gesti di prodigalità totalmente privi di finalità e ritorni personali.

La forza del film sta nel lasciarci, infine, con una domanda pressante, un’interrogazione tanto amara quanto ineludibile: ci si può permettere di essere umani senza esserlo?

2 thoughts on “Frammenti di umanità: “Un paese di Calabria”

  • Una carica emotiva, una raffinata vivacità espressiva e, non ultima, una non frequente capacità di coinvolgere ed entrare nell’anima di un compesso problema quale quello dell’immigrazione sono gli aspetti a mio parere piu importanti di questo articolo, scritto con profonda sensibilità e con quel piglio di umanizzazione della notizia, che non è facile trovare nella scrittura giornalistica.
    Leggere Claudia Costanzo è veramente un piacere: i suoi articoli sono misurati, senza orpelli letterari, carichi di verità non gridate ma sussurrate con la forza del cuore. Complimenti!!!

  • Articolo molto interessante e direi anche avvincente per la eccellente capacità dell’autrice di condurti all’interno dei luoghi e delle situazioni di cui racconta.

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