La famosa fatto che ha fatto il giro del mondo è stata già definita come “foto del secolo”. È infatti la prima immagine di un buco nero della storia. Di seguito vi aiuterò a mettere ordine sulle molte informazioni che sono circolate e per darvi la possibilità di vantarvi con gli amici.
Quando la mattina del 10 aprile ho dato un’occhiata alle notifiche sul mio smartphone non si poteva vedere altro che la stessa foto in continuazione. Dai maggiori quotidiani a Facebook si era circondati da foto di quel mangialuce a tradimento. Ma andiamo con ordine parlando per bene della vicenda.
C’era una volta Messier 87…
Tutto iniziò tre anni fa con l’utilizzo del telescopio EHT, che trovava l’appoggio tecnico della Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory, Haystack Observatory, MIT e del Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. Questo non è altro che un telescopio virtuale, che sfrutta le informazioni di tre radiotelescopi posti in punti diversi del pianeta. Esso è capace di imitare il comportamento di un telescopio con un diametro pari a quello del pianeta Terra. L’obiettivo era quello di osservare due buchi neri: Sagittarius A, al centro della nostra Via Lattea, e Messier 87, nella galassia Virgo A e circa duemila volte più lontano del primo.
Inaspettatamente l’immagine che tutti conosciamo viene proprio da quello più distante. La ciambella arancione che lo circonda è un ammasso di gas e polveri a milioni di gradi centigradi in caduta verso di esso. È stato stimato che l’ammontare della materia risucchiata dal buco nero ogni giorno ammonta a novanta volte il peso del nostro pianeta. Arrivati a questo punto vi chiedo: e se vi dicessi che questa qui sotto non è una foto?
Un puzzle gigantesco.
Chiamare l’immagine “foto” è un errore non da poco. Infatti, un buco nero è una regione dello spazio che risucchia tutto intorno a lui, anche la luce, necessaria per immortalare una foto. Essa è il risultato dell’elaborazione di milioni di immagini dei dati osservati dai radiotelescopi. Qui è entrato in gioco il lavoro di Katie Bouman, esperta informatica presso il Caltech, in California. Il suo algoritmo, infatti, è stato la chiave per ordinare questa quantità gigantesca di dati, arrivando così al risultato che tutti conosciamo. Forse la seconda foto (e stavolta per davvero) che ci verrà in mente pensando a M87 è sicuramente quella dove viene ritratta mentre il computer mostra la prima elaborazione dei dati.
Peta che?!
La prossima che vi farò sarà l’ultima domanda di questo articolo. Sapete quanta informazione è stato necessario raccogliere per quell’immagine? Ben cinque petabyte. Per orientarvi sulla quantità, pensatela così: di solito, usando uno smartphone o un pc, l’unità che inizia a considerarsi grande è il gigabyte, ovvero un miliardo di byte. Bene, un petabyte corrisponde a un milione di gigabyte. Insieme equivalgono a 5000 anni di musica in formato mp3. Mica pochi!
Una nuova frontiera.
Ciò che rende questo evento così importante risiede in due fattori. Il primo è l’ennesima conferma della validità della Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein, che ricordo essere vecchia di 103 anni. Il secondo è che si è dimostrato di possedere una tecnologia estremamente avanzata, che non è solo capace di raccogliere efficacemente dati a milioni di anni luce da noi, ma anche di poter osservare un “qualcosa di invisibile” come i buchi neri.
Giovanni B. Della Posta.
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