Trump ci porta al bivio: ascesa o declino?

Mi preme unirmi all’usato coro di commentatori “professionisti dell’ex post per rilevare, in quest’elezione (ma che ha molto in comune con la Brexit, a mio parere), elementi macroscopici sintomo del nostro Zeitgeist.

1. Prima di tutto i sondaggi sbagliano, spesso. Perché? Una possibile risposta è: la gente si vergogna di dire che voterà un certo candidato, ma all’ombra segreta delle urne poi lo vota. Il che è preoccupante.
2. Gli intellettuali continuano a brancolare nel buio confusi, impauriti e totalmente estranei alle masse: ridotti a strumenti del potere che non sanno vedere a un palmo dal naso. Aiuto!
3. Nel corso del Novecento il percorso di veloce ascesa di regimi autoritari è stato spesso analogo: fallimento della classe politica precedente (di solito quella liberale) e assenza di un’alternativa a sinistra, infantilmente litigiosa e divisa: vi ricorda qualcosa?! Non voglio certo portare sfortuna: ma le analogie storiche hanno una loro importanza, altrimenti la Storia passa invano.

4. Lo schieramento fazioso di certi ‘poteri forti’, in questo caso Wall Street e le varie banche e istituti finanziari che hanno appoggiato e sovvenzionato la Clinton, non sempre convince e vince. E’ una realtà che si schianta contro la convinzione di alcuni (e non poche volte io fra questi) che “i poteri forti sono i più forti”, hanno troppe armi per vincere (soldi e mass media in primis, che sono stati abbondantemente dispiegati in quest’elezione) e quindi vincono sempre. A quanto pare a volte non ce la fanno (sempre che anche questa sconfitta non rientri all’ interno di un loro piano per il ‘Nuovo Ordine Mondiale‘!).
5. La globalizzazione neoliberista, con la sua competizione mondiale a ribasso, sta creando pochi vincitori e molti vinti (almeno in Occidente), che si oppongono con le poche armi democratiche che ancora hanno, come il voto. E’ un NO legittimo, ma che sta andando in una direzione controversa (non voglio sbilanciarmi nel dire ‘sbagliata’): nazionalismo, campanilismo, xenofobia, chiusura economico-ideologica, arroccamento nei propri privilegi ed esclusione di chi, per fato e non per colpa, non li ha mai avuti e forse non li avrà mai. Le carte vincenti del populismo.
6. L’establishment, che la globalizzazione liberista l’ha voluta e portata avanti, ora ne paga le conseguenze elettorali. E’ davvero una ‘rivoluzione’, un cambio di passo e di paradigma, forse una nuova epoca storica. Come diceva Guzzanti-Funari: “Perché ‘a ggente s’è stufata… ‘n ja fa!”. Stiamo svoltando: se in meglio, non se ne hanno ancora le prove e nemmeno i presupposti. Probabilmente in peggio, ma la storia insegna che l’umanità, dopo aver raschiato il fondo del barile, dopo una sconvolgente catastrofe valida come uno ‘schiaffo educativo’ a livello mondiale, miracolosamente risale. Thomas Mann alla vigilia della Grande Guerra esultava ‘Liberazione! Purificazione!’: si andava contenti all’inferno perché meno noioso del grigio purgatorio quotidiano.

7. Un miliardario eletto dagli operai per fare gli interessi degli operai?! Sembra un revival del vecchio sanfedismo, una prova dell’ inebetimento totale di una classe lavoratrice distratta, assorbita, abbrutita dal lavoro, e sempre più del lavoro affamata come la vittima che ama il suo carnefice nella più classica delle sindromi di Stoccolma. Che il problema sia solo questo: più lavoro? E il lavoro con quale fine? La sopravvivenza materiale, che elimina la paura della indigenza, della fame, del domani. Che la soluzione sia un reddito minimo di cittadinanza, che permetta a tutti di dimenticare l’assillo dei valori materiali, per concentrarsi su quelli post-materiali (la democrazia, l’uguaglianza, la libertà vere, e non dipendenti da pezzi di carta convenzionalmente detti soldi)?
8.
 L’uomo politico del domani è antropologicamente diverso dagli idealisti, dai burocrati, o dagli uomini almeno esteticamente formali, seri e pallidi a cui siamo stati abituati. E’ un animale adattatosi a un pubblico stanco, ignorante, irrazionale. A cui la verità non interessa; a cui la dignità politica (che non è un politically correct sfociante nel buonismo) non interessa; a cui gli scandali, al di là del numero e della gravità, non interessano anzi, creano lo scoop, il personaggio e, come dice John Oliver fanno ‘effetto chiromante’ che su tanti più chiodi cammina, quanto meno li sente; a cui gli ideali e i programmi non interessano. Interessa cosa? Ancora una volta il consumismo edonistico-spettacolare: la facilità, la velocità, la semplicità, il personaggio sconvolgente e carismatico, la forma, il divertentismo, come minimo; come massimo (e qui Trump calza a pennello) la violenza e l’oppressione dei più forti sui più deboli (che siano minoranze etniche, immigrati, donne; ma questo, ovviamente, solo se si è fra i più forti): l’anti-democrazia. S’è confusa la politica con la tv spazzatura. Un mercato delle vacche, dove al cliente/elettore si dà ciò che vuole, l’importante è che compri/voti: è il business, baby.

E quindi io così la risolvo: che la rivoluzione va fatta dal basso, e senza quella culturale individuale, non ci sarà quella politica collettiva. Ognuno di noi deve ripartire da se stesso, compiere un percorso di autoperfezionamento per fuggire da Matrix. Certo, anche se effettivamente ce la facessimo, dopo 50 anni di ‘correzione morale’ ci dimenticheremmo tutto, e avremmo di nuovo bisogno di tragedie educative per risvegliarci. E così… all’ infinito.
Come si dice: la storia è buona maestra, ma non ha buoni allievi.

Alessandro Maggetti

One thought on “Trump ci porta al bivio: ascesa o declino?

  • mi piace questo pezzo tra l’attonito ed il faceto in cui esprimi bene il male di vivere in questi tempi, attento a non buttarla troppo sul catastrofico, nonostante le apparenze. E mi piace la conclusione, quel partire da se per rendere migliore il Mondo. Messaggio positivo-messaggio inviato
    Trump è negli Usa, anche se il suo campo d’azione è il Mondo, noi siamo in quello che una volta era chiamato il “bel Paese” ed oggi lo è un po’ meno. Oggi il nostro problema, oltre al lavoro, è il Referendum. Dopo, potrebbe essere un altro Paese, in ogni caso una società spaccata. Ma nei momenti di difficoltà non sarebbe meglio essere uniti?!

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